Ho
letto con vivo interesse il libro ‘Il Giornale, Varese 1973-1977 Una voce alternativa’ (Macchione editore). Ovvio
che fossi interessato, parla di un giornale, dell’avventura giornalistica di un
quotidiano che i giovani varesini certamente non conoscono. Il giornalismo fa
parte anche della mia vita, sebbene entrato alla fine degli anni Ottanta,
mentre Il Giornale venne alla luce nel 1973 e morì quattro anni dopo. La mia
avventura giornalistica al settimanale ‘Luce’, poi anche alla Prealpina, parte
alla fine del 1989, negli anni de ‘Il Giornale’ pensavo ad altro, a finire il
liceo Classico, a dare avvio alla mia passione sportiva frequentando l’Isef
alla Cattolica (fare il prof di ginnastica sarebbe diventato il mio lavoro
principale), non mi interessavo della vita cittadina (solo di quella
ecclesiale), non scrivevo nulla, salvo qualche articolo sul Bivacco, periodico
della parrocchia di Biumo Inferiore. E infatti la maggior parte dei
protagonisti di quella storia mi sono del tutto sconosciuti, a cominciare dai
due editori, Sergio Violini e Ugo Parravicini, imprenditori che – inesperti nel
settore – si improvvisarono editori (Violini anche giornalista) e via, per
proporre a Varese un giornale alternativo alla paludata e priva di concorrenti
Prealpina, giudicata conservatrice, poco innovatrice, disattenta alla nuova
Varese. Una sfida, una scommessa, una scelta coraggiosa e assai rischiosa, senza
lieto fine, senza successo, con risvolti dolorosi, grane giudiziarie, fatiche,
ma anche gavette importanti, inizi di carriere brillanti, esperienze
indimenticabili, amicizie, idealità, una storia che non poteva essere
dimenticata, soprattutto per rendere omaggio (questa la dichiarazione d’intenti
dei due curatori, Dedo Rossi e Sergio Redaelli, in foto) ai due protagonisti principali,
che hanno bruciato una fortuna economica, finiti nel rogo insieme alla carta
del giornale fallito: Violini e Parravicini. E ora un po’ rischia anche l’editore
Pietro Macchione, non nuovo a simili avventure: a chi può interessare oggi un
libro di 350 pagine (euro 30), che descrive una fettina di Varese di 50 anni
fa, un libro che potrebbe sembrare per specialisti della carta stampata, per
addetti ai lavori, per nostalgici del bel tempo che fu? E invece il libro ha un
suo perché di attualità, è utile per chi vuole conoscere la storia di Varese, per
chi ama questa città, questa provincia operosa, per chi ama i giornali e per
chi sa provare riconoscenza verso gli idealisti che rischiano di tasca propria.
Si
diceva delle 350 pagine, un volume corposo, ricco di illustrazioni, denso di
testimonianze, cucite insieme da Sergio Redaelli e Alfredo Rossi detto Dedo,
giovani (allora) protagonisti di quella vicenda. Si parte dalle prefazioni
dello storico Enzo R. Laforgia (attuale assessore alla cultura del Comune di
Varese), di Marco Giovannelli (direttore di VareseNews) e di Massimo Lodi, giornalista della
Prealpina. Seguono i contributi di Mario Carletti, Mariuccia Chierico, Luca e
Maria Rosa Croci, Mauro della Porta Raffo, Roberto Della Torre, Tonino Fabbri,
Anna e Rossella Faoro, Giorgio Filimberti, Dino Foglia, Sandro Frigerio, Cesare
Giuzzi, Piero Lotti, Alfredo, Cristina, Giovanni e Piergiorgio Lucioni, Renzo
Magosso, Massimo Maritan, Carlo Meazza, Enrico Minazzi, Bruno e Paola
Monestier, Maria Rosa Mongodi, Ezio Motterle, Teresa Nidoli, Giuseppina, Marco
e Roberto Parravicini, Stefano Redaelli, Costantina Sfirra, Bruno Stella,
Maurizio Tortosa, Ambrogio Vaghi, Claudio Vertemati, Irene, Marco e Mario
Viganò, Bruno Maria Villa, Gabriele Villa, Chiara, Daniele e Marino Violini.
Come
si può vedere, una bella squadra, che ha ricostruito con passione e buona
memoria quell’età e quelle pagine inchiostrate, innovative, formato tabloid, prima
pagina rossonera (un rischio: io, interista, per principio non l’avrei comprato!),
precedenza alla sintesi, al titolo ad effetto, alla foto di grandi dimensioni.
Come
scrivevo in esordio, poi anch’io sono diventato giornalista, sebbene solo pubblicista,
a partire dai miei 33 anni, in principio per hobby, poi per secondo lavoro e
oggi ancora per pura passione. Sono uno di quelli che preferisce scrivere
piuttosto che parlare, che si perde nel profumo della carta stampata, che crede
nel potere eterno di un libro che ci sopravvive. Grazie a questo libro ho
potuto ‘salutare’ il mio caro amico (un gran personaggio) Francesco Luciano Viganò,
conosciuto al Luce, che favorì una mia fulminea apparizione ad ‘Avvenire’, Dedo
Rossi, Carlo Meazza (con il quale ho scritto anche dei libri), il mio coetaneo
Ezio Motterle (che andavo regolarmente a trovare nel suo piccolo ufficio di
fronte al tribunale), lo storico Alfredo Lucioni, Chiara Violini, direttrice
della nostra Civica Biblioteca. Ma soprattutto mi sono impadronito di un’altra
porzione della storia di Varese, città che amo.
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