Un mendicante - Jusepe de Ribera detto Lo Spagnoletto (1612 circa)
Passano
gli anni, cambia la mia immagine della vecchiaia. Da giovane avevo un’idea ‘romantica’
della vecchiaia, l’età della saggezza, della pace, del discernimento, della
fede. Ora è un tempo che mi fa molta paura. Ad uno ad uno i nostri ‘vecchi’ se
ne vanno, come è naturale che sia. Molti hanno superato i 90 anni, altro non si
può chiedere dalla vita. Ma come può definirsi quest’ultimo tempo? Per
lo più è un tempo sofferto, a volte inconsapevole (ed è una grazia) altre volte
più o meno pienamente cosciente, un tempo che mette a dura, durissima prova chi
lo vive in prima persona e chi vi assiste, spesso impotente, consapevole del
proprio limite e della costante impreparazione all’amore che vorremmo
manifestare e che non riusciamo pienamente a realizzare. La vergogna, il
pudore, il rispetto ci permettono di soffocare dentro di noi taluni vissuti
che, se manifestati, non ci farebbero fare bella figura: ma sono vissuti
comuni, per certi versi persino comprensibili. Ho già citato il
cardinale Carlo Maria Martini che ebbe a descrivere l’ultimo tempo della vita
come il tempo in cui si chiede la carità: mendicanti alla ricerca di una
presenza, di un po’ di affetto (anche se il sentimento è ambivalente, affetto
ma nel contempo disagio per essere di peso, per dover dipendere, per togliere
il fiato e la serenità a chi ci assiste, soprattutto se è un familiare). Un tempo ingrato…nessun lieto fine. Traditi dal
corpo, traditi dalla mente…che resta? La moderna pubblicità di un’eterna
giovinezza fatta di viaggi, svaghi, passatempi? Sì certo,
possono dare una mano, quando ancora la salute regge ed è utile dimenticare ciò
che ci attende a breve. Ma più avanti? Quando tutto trema?
Resta
Dio…al quale sarebbe bene aggrapparsi anche prima…ma certamente quando la
vecchiaia ti butta sulla strada, con la mano tesa in avanti.
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