La questura di Varese si apre alla cittadinanza, non solo per svolgere
il suo primario servizio, ma questa volta anche per regalare una boccata
d’arte. Inaugurata ieri mattina, sabato 19 novembre, la mostra dal titolo
‘L’arte svelata nel palazzo della questura di Varese’. Tutto è partito anni fa,
quando l’ex questore di Varese, Giovanni Pepè, nell’osservare il grande palazzo
dalla caratteristica forma triangolare, con alta torre dell’orologio, sito in
piazza Libertà a Casbeno, pensò: “E’ davvero bella la nostra questura, merita
di essere valorizzata da tutti i varesini.” Da qui l’idea di riportare ad
antico splendore l’arte muraria presente negli ampi locali dell’edificio,
aprendo poi al pubblico la visita, affinché si sappia: anzitutto chi realizzò
negli anni Trenta il grande palazzo, e cioè l’architetto romano, assai in voga
allora, Mario Loreti, insigne professionista che realizzò piazze e palazzi
soprattutto a Roma ma anche a Varese (tutta la rinnovata piazza Monte Grappa, già
piazza Porcari, oltre al palazzo in questione) e nel resto d’Italia, e il
pittore marchigiano, giunto a Varese per amore, Giuseppe Montanari detto
Peppino, l’autore dei pregevoli affreschi. E allora ieri mattina la sala delle
riunioni era davvero colma di varesini, che hanno ascoltato con interesse i
numerosi interventi; hanno parlato le nipoti di Mario Loreti e di Peppino
Montanari, la curatrice della mostra Serena Contini, il padrone di casa, cioè
il questore Michele Morelli, l’ex questore che per primo immaginò l’evento, e
cioè Giovanni Pepè, e poi il questore vicario Carlo Mazza, il sindaco di Varese
Davide Galimberti, l’assessore alla cultura Enzo Rosario Laforgia….insomma, un
lavoro di squadra che, dopo anni, ha portato a questa bella iniziativa culturale,
aperta alla cittadinanza. Sarà possibile visitare la mostra sino al 15 marzo
2023, solo il sabato (9.30/12.30) e il mercoledì (15/18), con prenotazione
obbligatoria a urp.quest.va@pecps.poliziadistato.it (www.mostramontanari.it).
Non ha parlato in pubblico, ma lo ha detto a me, Raffaele Vedani, al cui
padre si deve la conservazione dell’ampio murales della sala delle riunioni
(vedi foto). Questi i fatti. Montanari realizzò i dipinti, come detto, negli
anni Trenta, durante il ventennio fascista, grandi opere che attraverso l’arte
mostravano un’idea, un percorso didattico verso un idem sentire politico: arte
come un libro aperto per imparare e farsi convincere. Naturalmente, finita la
guerra, Montanari ricevette l’invito a cancellare quel percorso didattico, a
coprire con opportune pennellate ciò che andava coperto perché non più alla
moda. Peppino si rifiutò, meglio, affidò l’incarico ad un suo giovane
collaboratore, appunto al signor Vedani il quale, consapevole di ciò che stava
facendo, utilizzò una particolare vernice coprente, che non avrebbe deturpato
l’opera, permettendo in altri tempi di recuperarla. E così è stato. Perché –
come hanno sottolineato sia Laforgia che Galimberti, entrambi uomini di
sinistra – sarebbe un grave errore cancellare così il passato. Le immagini
pittoriche alla questura di Varese sono un grande libro aperto, a disposizione
ad esempio degli studenti, che possono conoscere cosa è stato il fascismo
proprio ‘leggendo’ sui muri.
Un grazie a Fondazione Cariplo, a VareseVive e a Giuseppe Redaelli, alla Fondazione Comunitaria del Varesotto, a De Molli Giancarlo industrie spa.
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