L’ULTIMO
BALLO DI UN CONCERTO MEMORABILE
di carlozanzi
Te
lo devo ripetere un’altra volta? L’ennesima? Guarda che ridico ciò che hai già
sentito…Lo vuoi risentire? Vuoi altri particolari? Non ti capaciti che sia
scomparso?
Ricominciamo
da capo. Quel bambino in principio si è avvicinato agli strumenti, ha
accarezzato il contrabbasso di Zampa, la chitarra di Doug, ha toccato la gamba
di Little Annie perché non ci arrivava sino al violino, Josh si è abbassato,
gli ha sfiorato i capelli e gli ha fatto assaporare il gusto del mandolino; il
ragazzino si è messo in piedi, appoggiato al microfono di Ron, che lo ha
guardato male, preso nella sua canzone, poi è andato da Mock, che gli ha
sorriso mentre si destreggiava col banjo. Saranno state le ventidue e trenta,
il concerto alla Siebter Himmel era iniziato da venti minuti, non di più.
Brusio, le cameriere in abiti tirolesi che sfrecciavano con birre e panini, una
decina di persone ad assistere, le altre sparse e distratte in differenti
locali, alcuni nella terrazza coperta, dal cielo nero sgocciolavano i resti di
un modesto temporale. La bella musica della Piedmont inzuppava il locale come una spugna di mare, satura d'acqua.
Quel bambino
sentiva il ritmo, si è allontanato, ha cominciato a picchiare i piedi a ritmo,
quindi a muoversi con ritmo, poi a girare in cerchi, seguìto a distanza dal
padre, che sorrideva.
E
Mock, a dirigere, a presentare i canti, più che altro il titolo, a chiamare gli
assoli…go Doug, go Zampa..alè Josh….vai Little Annie……go Ron…Poco alla volta ho
inteso che quel bambino amava particolarmente Mock, gli era simpatico: sarà
stato il suono caratteristico del banjo americano a cinque corde, sarà stato il
suo modo di guardarlo, di considerarlo, di amarlo. Amore chiama amore. E poco
alla volta il bimbo ha concentrato i suoi balli vicino a Mock, quasi si fosse
dimenticato degli altri: lì la musica era migliore. Alle ventitré e dieci, sono
preciso perché avevo guardato l’orologio poco prima, il padre ha cercato di
allontanare il figlio, era tardi e dovevano tornare a casa. Ma il bimbo ha
protestato e il padre è stato comprensivo. E’ arrivata la madre e ha preso
anche lei le parti del ragazzino. E’
arrivato il turno del set di Doug, all time music, ancora più adatta al ballo
rispetto alla precedente, folk & bluegrass. E il bimbo lo ha capito subito.
E’ stato allora, diciamo alle ventitré e trenta, che il bimbo si è avvicinato a
Mock e gli ha fatto capire che voleva ballare con lui. Mock, che in quelle
canzoni suonava la chitarra acustica, si è staccato dal microfono, si è messo
in mezzo alla sala e, continuando anche a suonare, a fare assoli, arpeggi,
controcanti e a dare ordini, ha principiato il ballo col ragazzino. E rideva e
cantava. I due, avrebbero potuto essere nonno e nipote, erano la rappresentazione
vivente e danzante della felicità. Saranno andati avanti una decina di minuti,
anche quindici. Era vicina la mezzanotte quando il bimbo ha preso per mano
Mock, lo ha fatto abbassare, gli ha lasciato un messaggio nell’orecchio e i
due, ne verbum quìdere, senza dire
una parola, si sono allontanati, seguiti dai genitori del bimbo. Noi tranquilli,
sì, vagamente sorpresi ma tranquilli. Perché preoccuparsi? Un fuoriscena
divertente, commovente direi.
La
paura è arrivata dopo, quando i due genitori sono tornati senza bimbo e senza
Mock, sereni come avessero appena gustato un boccale di birra.
Del
bambino e di Mock non si è saputo più nulla. E sono passati dieci giorni.
Certo,
come no, capisco e comprendo, era tuo marito, il tuo uomo che amavi.
Questa
è la cronaca.
Tutto
il resto è Mistero.
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