L'ultimo tramonto del 2022.
Amici miei, vi vorrei tutti sereni.
Dedico questa mia poesia all'amico Enrico Piazza, che l'ha letta nella primavera 2018 davanti agli alunni della Vidoletti.
La banchèta dul tramunt
Gh’è ‘na panca da prea
pasà la Setima,
la gran Capela du la
flagelaziùn,
a l’è la me banchèta dul
tramunt,
ma seti giò, par mi gh’è
pü nissün.
Vo lì quand cal fa frecc
e tira vent,
cunt l’aria fina i niul
in partì;
vo lì par imparà ma sa fa
cito,
parché ma piass sentì sa
diss ul dì;
ul dì quand l’è vegnüü ‘l
mument da nà,
quand gh’è pü temp par
dì: ‘Sa vedarà’.
E ‘l dì al sa fa ross par
la vargogna
di robb trasà, dul ben
dismentegà.
Ma l’è bell chel culur
dra verità,
föögh frecc, fiama pizava
pasà ‘l lagh.
E quand ul su l’è naj ma
vegn da dì:
‘Sa l’è inscì bel murì,
vörì murì.’
Ma ‘n boff da vent gerà
pizìga i oss:
‘Vegn nott, vegètt,
camina cal fa frècc.’
Inscì, mia tant persuas,
ma drizi in pè,
disi ‘n patèr e turni al
me mistè.
Intant ul su l’è mòrt
dumà par mi,
la so crapa pelada sbusa
‘l mar,
la nott l’è bela e prunta
par murì,
dasi dasi sa pìza n’altar
dì.
3° classificato
Concorso Poeta Bosino
2012
31 gennaio 2013
La panchina del tramonto
C’è una panca di pietra
passata la Settima,
la grande Cappella della
flagellazione,
è la mia panchina del
tramonto,
mi siedo, per me non c’è
più nessuno.
Vado lì quando fa freddo
e tira vento,
con l’aria pura le nuvole
sono partite;
vado lì per imparare come
si fa silenzio,
perché mi piace sentire
cosa dice il giorno;
il giorno quando è venuto
il momento di andare,
quando non c’è più tempo
per dire: “Si vedrà.”
E il giorno si fa rosso
per la vergogna
delle cose sciupate, del
bene dimenticato.
Ma è bello quel colore
della verità,
fuoco freddo, fiamma
accesa al di là del lago.
E quando il sole se n’è
andato mi viene da dire:
“Se è così bello morire,
voglio morire.”
Ma un soffio di vento
gelato pizzica le ossa:
“Arriva la notte, vecchietto,
cammina che fa freddo.”
Così, non tanto convinto,
mi metto in piedi,
dico un padre nostro e
torno al mio lavoro.
Intanto il sole è morto
solo per me,
la sua testa pelata buca
il mare,
la notte è pronta per
morire,
adagio adagio si accende
un altro giorno.
Finalmente sono riuscito a recarmi ai Giardini per fotografare le tanto
decantate-criticate-osannate-depauperate luminarie di questo Natale 2022.
Critiche più comuni: troppo costose, troppo arabeggianti, da sagra del Sud, o
tipo Las Vegas, poca presenza di simboli religiosi, cioè manca il festeggiato
che giustifica la festa del Natale. Stando al giornale online Malpensa24 i
costi per le luci sono inferiori a quelli dello scorso anno (130.00 euro contro
i 140.000) ma bisogna aggiungere 70.000 per il progetto dei racconti che
vengono proiettati su Palazzo Estense, soldi che arrivano da alcuni sponsor e
dalle risorse dell’imposta di soggiorno. (In foto il vicesindaco Ivana Perusin e Valerio Festi dello Studio Festi, che ha organizzato l'evento). I costi sono effettivamente alti, non
facile è stata la scelta dei nostri amministratori, che puntano naturalmente
sull’indotto: tanti visitatori, tanti turisti con ciò che ne consegue. E la
gente sta arrivando. Anche stasera, 26 dicembre, molti i presenti. A mio
giudizio l’effetto è bello, non si discute, ma da cristiano sento la mancanza
di simboli religiosi. Due enormi cavalli bianchi...Non ci stava un presepe su
quelle pedane? Si dirà: ognuno ha i suoi gusti, ma Natale si chiama così perché
è nato Qualcuno.
Lidia e Antonio nel Giardino Incantato
Come d’abitudine Lidia e Antonio tengono alta la tradizione del nostro bel dialetto, e lo hanno fatto anche il giorno di Santo Stefano 2022, intervenendo alle ore 18 sotto le luci colorate del Giardino Incantato, ai Giardini Estensi. Sotto gli occhi attenti del vicesindaco di Varese Ivana Perusin, di Valerio Festi (dello Studio Festi, al quale si deve la magnificenza delle luci natalizie) e dei varesini, la coppia ‘più bosina del mondo’ ha letto alcune poesie dei nostri più quotati poeti dialettali, poesie del passato eppure sempre attuali, come quella che alludeva ad alcune polemiche sulle luci natalizie (polemiche che non sono mancate anche in questo Natale 2022) e l’altra sui mali di stagione, influenze già mortificanti allora. Una bella occasione per la Famiglia Bosina di far sentire la sua presenza anche nelle festività natalizie. Grazie dunque ai coniugi Borgato-Munaretti, che non deludono mai. Per onore di cronaca dobbiamo annotare che non tutti i molti presenti sotto la lunga galleria luminosa si fermavano ad ascoltare, tenuto conto che si trattava soprattutto di giovani famiglie con bambini, trenta-quaranta-cinquantenni che naturalmente non conoscono affatto il nostro dialetto, per loro arabo come arabeggiante è per certi aspetti lo stile delle luminarie.
La foto è di qualche annetto fa (e si vede) ma testimonia che ho avuto l'onore di posare con Vittorio Adorni, Sandro Stocchetti, Francesco Moser e Gianni Motta.
Ciao Vittorio, pedalatore gentile.
Stamani, lunedì 26 dicembre, Santo Stefano, sono salito a piedi lungo la rizzàda della Madonna del Monte. Ieri, Natale, non c’era nessuno, oggi tanti viaggiatori (intenti a smaltire il surplus natalizio) e alcuni correvano. Arrivato al Mosè ho assistito a questa scena: tre runner erano già arrivati di corsa e attendevano il quarto. Questi tre erano visibilmente allenati e giovani, il quarto è arrivato arrancando, sbuffando, appesantito dalla salita e dai chili, deciso a non mollare. Mitragliando il cuore a 180 pulsazioni al minuto come minimo questo tale, paonazzo, mentre prendeva fiato con evidente carenza d’ossigeno cercava anche di raccontare la sua avventura podistica. E’ nata in me la seguente preghiera:
Madonna nera del nostro Sacro Monte, veglia sui runner a chiaro rischio
di infarto, che seguono non la legge del Signore ma quella del basta far
fatica, più fatica si fa meglio si sta, basta la buona volontà e si arriva
ovunque; vigila su chi accetta la sfida con falsi amici più giovani e allenati,
e non molla per non sfigurare; proteggi chi non fa test da sforzo, chi non si
allena con gradualità e pretende, chi si illude che gli anni non trascorrano,
chi mangia e beve di tutto tanto poi faccio sport, chi corre sul dolore, chi
prende le medicine, non parliamo di chi si dopa...Insomma, ci siamo capiti. E
naturalmente veglia anche su di me, che non sono pazzo come il tale di
stamattina, che sono prudente e so bene i miei limiti, ma che ho bisogno di un
occhio di riguardo E così sia.
Il Natale di Fabio
E’ sempre consolante per me partecipare alla Santa Messa della vigilia
di Natale, che da 17 anni viene celebrata per ricordare la morte di Fabio,
ragazzo varesino. E’ consolante perché vedere così tanta gente, tanti amici che
confidano nella certezza che via siano un Dio e una Vita Eterna, capaci di
compensare le perdite della vita terrena (compresa la perdita inconcepibile di
un figlio) mi dà coraggio, speranza, io che non considero per niente certo il
Mistero di Dio. E’ certa ad esempio la morte ma non la resurrezione. Eppure
persino i genitori di Fabio, cioè coloro che più di tutti soffrono per questa
mancanza atroce, riescono a mantenere la fede e a vivere ancora. A volte –
forse – riescono anche ad essere un po’ felici. Ciò è miracoloso. Sono
questi i veri eroi, non certo Messi (the new messia per tanta gente!) né i più
seguiti ‘influenzatori’ eccetera.
Ecco un nuovo Natale. Sono tale e quale gli altri anni, se non peggio.
Dovrei perdere la speranza. Certi momenti di preghiera sono come un colpo
d’aria sulla brace.
Caro Roberto, una cosa soprattutto mi è rimasta nella memoria di ciò che
ha detto tuo figlio durante i funerali, e cioè che in casa non parlavi molto,
anche perché eri un po’ timido. Lo sospettavo, sospettavo che dietro quel tuo
sorrisetto e quel parlare meditato e lento ci fosse anche un velo di timidezza,
una difficoltà ad aprirti, a svelarti, un tenere per te forse anche per paura
di sbilanciarti, soprattutto negli affetti. O forse ti davi così tanto alla
vita pubblica, alla politica, alla carriera amministrativa da cercare in casa
finalmente la quiete, il riposo. Ora Varese ti ritrova – dopo le esequie di
Stato – appeso ai muri, nei manifesti voluti dalla Lega Nord. Ancora una volta
col tuo caratteristico sorriso.
Buon Natale.
Complimenti all'ex alunna Vidoletti Sara Bianchi, che è salita sulla vetta del Breithorn occ. (m 4165 - Gruppo Monte Rosa).
Non c'è Natale senza il racconto di Simone....eccolo
ESSE MAIUSCOLA
di Simone Mambrini
Ogni anno, verso la fine di agosto, il Piermarini e il Vanzetta sparivano, in
pratica, dalla circolazione. Proprietari delle due grandi ville poste “agli antilopi” del
paese (come diceva l'ubriaco comunale quando era quasi sobrio), utilizzavano ogni
momento libero per la progettazione degli addobbi natalizi dei rispettivi giardini.
La faccenda era iniziata per caso molti anni prima, quando uno dei due aveva
iniziato a mettere un presepe in giardino. Dal momento che tra i due, fin
dall'adolescenza, si era instaurata una grande competitività, l'altro l'anno successivo si
sentì in dovere di fare lo stesso; ovviamente per sentirsi dire che era migliore del
primo.
Nel paese la cosa inizialmente fu presa sul ridere, e il parroco in fondo ne era
contento, tanto che si recava personalmente a benedire le due opere nel pomeriggio di
Santo Stefano. Ma col passare degli anni, la furia competitiva di entrambi prese il
sopravvento, fino al punto di iniziare la progettazione mesi prima. Le povere mogli
dei due avevano il divieto assoluto di parlare del progetto e dello stato dei lavori, e
trascorrevano settimane molto pesanti, con i rispettivi mariti tesi e concentrati “a
fargliela vedere, a quello là”.
Se uno dei due avesse messo un lago coi pesci rossi, l'altro l'anno dopo uno più
grande, con le trote. Una collina? L'altro una montagna, e l'anno dopo la funivia, gli
sciatori.
E via discorrendo, anzi ingrandendo.
Il parroco, visto l'andazzo, sospese le benedizioni con una scusa, e si limitava
ad osservare: ogni anno attendeva la prima serata propizia (cioè con il tempo
peggiore possibile) e usciva sul tardi, per dare un'occhiata. L'unico rischio, in quelle
occasioni era incrociare uno dei due, che approfittava della situazione per sbirciare il
lavoro dell'altro. Se ne andava sempre, poi, scrollando il capo, pensando di non essere
visto.
In realtà gli artisti erano sempre all'erta, per controllare quanta gente sarebbe
passata a vedere il proprio lavoro, quanto si fermavano ecc. Per poter concludere che
era stato sicuramente un successo, e più gradito dell'altro, non considerando che in
pratica tutta la gente del paese si recava da entrambi. Ma anche per controllare se la
creazione avesse bisogno di qualche intervento. A causa della “crescita”, infatti,
capitava sempre più spesso che nel periodo di esposizione si rendesse necessario
cambiare una lampadina, incollare qualche pezzo che con la pioggia si fosse staccato
ecc.
Così una sera, mentre il Piermarini stava sistemando i cavi della famosa
funivia, e non poteva essere visto dalla strada, ascoltò il dialogo tra un bimbo e la
madre, che stavano guardando il presepe. La madre, tutta contenta, mostrava al figlio
ciò che c'era di nuovo, e si sentì domandare: “Mamma, ma Gegiubambino si è
naccotto?”.
Dopo un attimo di smarrimento, perché non riusciva nemmeno lei a trovare
dove fosse la capanna con la stella cometa, risolse la questione: “Eh sai, non è ancora
la Vigilia, non l'ha ancora messa”. Ma il bambino non era mica tanto convinto...
Il Natale successivo si presentò in grande stile: dai primi di dicembre attacco' a
nevicare come si deve, e il paese fu presto sommerso dal manto in modo consistente.
L'atmosfera era propizia, ma il Vanzetta non era contento: “Con questa maledetta
neve la gente viene e si ferma pochissimo.” pensava “Vengono tutti come sempre ma
scappano via subito. E sì che quest'anno mi sono superato: ho messo pure i grattacieli
di Milano”.
E si preparò per la missione segreta: fece il giro largo, dove le luci dei lampioni
erano più rare e fioche, avvicinandosi alla villa del Piermarini. A un tratto dovette
però nascondersi: c'era gente, nonostante nevicasse ancora. Nascosto dietro a un
cespuglio, rosicava: cosa diavolo aveva messo di nuovo, perché si fermassero così a
lungo?
Finalmente si liberò il campo, e poté avvicinarsi. Il giardino era buio, eccetto
un punto, ben visibile: capanna, stella, Maria, Giuseppe, asino e bue. E il Bambino,
sorridente. Si trovò a pensare che non lo aveva mai visto sorridere così, e a leggere un
cartello che il Piermarini aveva apposto sul cancello: “Forse sarete delusi, più
probabilmente sorpresi, amici. Mi sono accorto che stavo festeggiando il signore con
la esse minuscola. Maiuscolo, però, è chi è capace di farsi piccolo, non trovate?”
Quella volta il vecchio parroco non scrollo' il capo, e decise di celebrare la
messa di Santo Stefano nel giardino del Piermarini. Presente tutto il paese.
Anche il Vanzetta.
Grazie all’interessamento (e lo ringrazio) di Roberto Gervasini, è stato
ristampato il mio libro ‘Regina delle Prealpi – L’atletica leggera a Varese’,
che era esaurito nella sua versione cartacea. Ricordo infatti che si tratta di
un blog-book che si può leggere gratuitamente (http://reginadelleprealpi.wordpress.com).
Chi desidera il libro di carta, con foto a colori, può chiederlo a me
direttamente. 338.6806423
c.zanzi56@gmail.com
Apprendo ora della morte, a 81 anni, di Mons. Luigi Stucchi, un
sacerdote che ho conosciuto soprattutto negli anni della mia collaborazione al
settimanale Luce. Monsignore, come vicario episcopale, abitava sotto di noi. Un
sacerdote-giornalista che ben comprendeva il nostro lavoro. Non ci siamo
rivisti per molto tempo e poi, lo scorso mese di giugno, eccolo a Masnago, in
occasione della presentazione del libro ‘La vita dentro – Storia di Anna Negri
Valvo’, scritto da Maria Teresa Antognazza con Mario Negri. Aveva curato la
bella prefazione al volume, la storia di Anna, giornalista, morta a soli 37
anni. Una storia d’amore oltre la vita, per la vita. Abbiamo scambiato due
parole, Monsignore si ricordava di me, del mio entusiasmo di ‘giovane’
giornalista. Mi pareva un poco provato ma non così da lasciar presagire la sua
morte dopo pochi mesi. Naturalmente ho scattato una foto, come mia abitudine,
quella che vedete ora.
Scrive Luigi Stucchi all’inizio della sua prefazione: “Mi ero appena
risvegliato dall’anestesia, dopo una piccola operazione chirurgica e, sapendo
delle difficili e gravi condizioni di salute di Anna, ho riacceso subito il
cellulare. Era lunedì 11 luglio 2005. La prima chiamata ricevuta stata per annunciarmi che la nostra carissima
Anna non soffriva più, viva per sempre, col sigillo inconfondibile di essere
stata, nel breve e intenso volgere dei suoi giorni terreni, mamma per sempre…”
Don Luigi ora è con Anna.
Mamma mia che fatica! Non ci sono partite-passeggiata per il basket di
serie A OJM ma con Trieste si immaginava meno stress. E invece...Il primo
quarto va via liscio, con 2 punti persino da baby Librizzi e 10 punti di
margine per noi: 26-16. Il secondo quarto vede due belle triple di Woulde e del
nostro capitan Ferrero, ma Trieste fa subito capire che è sotto di 10 ma oltre
non si va, reagendo soprattutto con Gaines, Davis, Spencer e Bartley, tre
‘piccoli’ e un lungo. Si va all’intervallo lungo 47-38. E durante l’intervallo
il Palazzetto si anima: l’Argentina vince i Mondiali ai rigori contro la
Francia, applausi a Luis Scola. Via, si riparte. Bene Owens ma ecco il suo
quarto fallo, quindi spazio a Caruso, che se la cava. Brown (foto) fa un bel 3+1 ma seguono due palle
perse per Varese, un 7-0 per Trieste che riporta sotto i friulani, mai domi.
Ross (foto) alterna cose ottime a cose meno buone, Woulde è l’eroe del finale di
tempo, con 8 punti in un attimo, compreso un triplone allo scadere: 72-59. Si riparte
speranzosi ma Trieste c’è e soprattutto Woulde si intestardisce a far tutto
lui, Brown sbaglia, i rossovestiti risalgono la china con un Bartley ispirato e
un Gaines che gli fa il controcanto, sicché si arriva 83-81 a 2’30” e il nostro
coach non chiede time-out. Ross sbaglia da tre, Ross viene stoppato, 85-85 e
finalmente arriva il time-out quando manca un minuto alla fine. Il Palazzetto è
in ambascia. Trieste perde palla in attacco (una vera manna per noi). Tiri
liberi per noi, Brown ne azzecca solo uno, tripla per i triestini, poi Brown ne
fa 2 da sotto e Trieste sbaglia il tiro della vittoria: 88-88, tempo
supplementare. Vi risparmio la cronaca
in dettaglio, Varese va avanti di 5 (93-88) ma poco dopo siamo avanti di uno
(95-94) e poi addirittura pari (97-97) e allora ci pensa Ross, una tripla e 4
liberi azzeccati, con una freddezza che riscalda i cuori biancorossi, sicché
finisce 104-99. Concludendo: Varese ha vinto con gran fatica, forse un eccesso
di individualità e poco giropalla. Comunque e sempre (le final-eight di Coppa
si avvicinano): Forza Varese!
E bravo Sergio di Siero, che ci regala un romanzo ben scritto e ben
condotto. Vorrei scrivere che ALLORA è un libro adatto a tutti, e così è, ma
direi che troverà lettori attenti e contenti soprattutto fra gli over
cinquanta-sessanta, cioè in chi è arrivato al tempo dei ricordi e ben
volentieri ama ripercorrere i suoi anni memorabili, gli anni più belli (vedi il
recente film di Muccino). E uno scrittore ha una carta in più, cioè ha il
piacere-compito-imperativo morale di lasciare per iscritto tali ricordi, nella
speranza-illusione che possano durare e incontrare occhi corrispondenti. Ampia
premessa per dire che di Siero, scrittore toscano-napoletano-varesino,
narratore apolide che si trova bene ovunque e non bene dappertutto, immagina
questa cronaca di un uomo nato agli inizi degli anni Cinquanta che ripercorre i
suoi ritorni giovanili, durante il tempo dell’estate (sino alla scadenza del
primo di ottobre, inizio delle scuole) nel paese natio, borgo toscano dalle
parti delle colline dell’aretino. Lunghe estati lontano dai genitori, in
compagnia di parenti, di amici, di personaggi caratteristici del luogo. Si
parte dalla fine degli anni Cinquanta e poi ci si inoltra nei gloriosi anni
Sessanta, quelli dello scoppio economico. La storia alterna cronache di paese a
eventi di portata nazionale e anche più, che hanno caratterizzato quel periodo.
E allora abbiamo tutta la sequenza: il dopoguerra, l’abbandono progressivo
delle campagne e dei monti, l’urbanizzazione, la Dc pigliatutto di Amintore
Fanfani (che è di quelle parti), e poi (molto bella) l’alluvione di Firenze con
l’io narrante che si rimbocca le maniche e, adolescente, vive in diretta quel
dramma e quella grande solidarietà. E c’è dentro la ribellione, i jeans, le
minigonne, i figli dei fiori, i capelloni, le proteste, la voglia di nuovo, il
fumo nelle sue svariate modalità, il confronto fra il vecchio mondo
conservatore (zia Piera, la ‘Giovane Italia’…), la voglia di cambiamento
(Vittoria…), le amicizie (soprattutto con Aldo), i primi amori, il primo
sesso...insomma, tutto il corollario della giovinezza, così unica e così
sprecata. Velocemente si passa poi alla contemporaneità, al tempo dell’ultimo
ritorno al natio borgo selvaggio, con le pagine finali in prosa poetica, mentre
il testo in generale è di facile lettura, diremmo quasi giornalistico,
paragrafi brevi, periodi brevi, una facilità in più per il lettore.
La storia, come è giusto che sia, non dà consigli, non offre certezze,
non regala ricette, non prende posizione, a parte l’insistita critica verso la
modernità che regala oggetti di consumo e illusioni, ma non valorizza ciò
che stato. E per protesta l’autore mette
nero su bianco il suo pensiero, uno sguardo disilluso ma insieme incantato,
dove la poesia è pazzia.
ALLORA (AGC edizioni) è un
romanzo tutto sommato breve ma intenso, riassunto dal testo in quarta di
copertina: ‘...i sassi, traditi da una società che non ha saputo
considerarne il valore, diventano ruderi. Non solo a causa dello scorrere
inesorabile del tempo e dell’ineluttabile bisogno di emancipazione, ma anche
per la miopia e gli interessi di chi ha gestito il bene comune privilegiando
tutt’altro e lasciando che il mondo di ALLORA inevitabilmente sia andato
perduto.’
Sergio di Siero ha scritto racconti sul quotidiano La Provincia e il
mensile Living. Ha pubblicato: I segni sui muri, Lontano, Parlami della tua
ombra, Come le nuvole, Che sia neve.
Come ogni scrittore, ama il dialogo con il lettore. Lo si può fare: sergio.disiero@libero.it
Infine: resta il dubbio sulla copertina, una bella foto di Stella
Belfiore. E’ un’alba o un tramonto? Alba se siamo in Adriatico, tramonto se
siamo nel Tirreno...e dato che si parla di Toscana, propendo per un tramonto.
Ma lo si può sempre chiedere all’autore.
Nella suggestiva cornice del chiostro di Voltorre è stato presentato
ieri sera, sabato 17 dicembre, il numero 30 di ‘Terra e gente – Appunti e storie di lago e di
montagna’, il ricco annuario della Comunità Montana Valli del Verbano. Troppo
piccola la sala per contenere i molti presenti, che non hanno voluto rinunciare al tradizionale
appuntamento prenatalizio, che desiderano mettere sotto l’albero questo volume
davvero prezioso, coordinato da Serena Contini (foto). E allora sfogliamolo insieme, a
partire dalla copertina, un olio su tela di Arthur Meadows (Londra 1843-1907)
dedicato a Luino. Trent’anni, cifra tonda, un momento speciale, sottolineato
anche da Simone Eligio Castoldi e da Marco Fazio, rispettivamente presidente e
assessore alla Cultura della Comunità Montana Valli del Verbano.
Si comincia con Federico Crimi e Marco Dozzio, con un contributo dal
titolo ‘Il Grande Lago. Tributo al Lago Maggiore nella letteratura europea e
nell’arte’; abbiamo poi un pezzo di Gianmarco Gaspari, ‘Stendhal al Sacro
Monte’; Emiliano Bezzon dà il suo contributo con il racconto ‘Attraverso’;
Mario Iodice firma un articolo dal titolo ‘Di terra in terra. Appunti di
toponomastica’; Piero Lotti è presente con ‘Lombardia terra di artisti. Nuovi
restauri per le opere murali di Innocente Salvini, alla casa museo di Cocquio
Trevisago’. Renzo Fazio ci porta a ‘Germignaga, un antico affresco ritrovato’;
Serena Contini è presente con ‘Il quadro
che non c’è: la piscina mediterranea di Renato Guttuso’; Abbiamo poi Ilaria
Gorini e Barbara Pezzoni con ‘Un lavenese illustre: il chirurgo Giovanni
Battista Monteggia (1762-1815); Giuseppe Armocida firma ‘Lungo il lago o
attraverso la Valcuvia? Le discussioni sul tracciato da preferire per la
ferrovia Novara-Pino. Il ruolo del deputato Giulio Adamoli (1876-1882); abbiamo
poi Francesca Boldrini con ‘Mai visti tanti uomini in chiesa come oggi. Ci
volevano proprio i tedeschi a mandarvi’. I tristi giorni del ‘Concentramento’
di Rancio Valcuvia, 13-17 novembre 1943 nelle lettere di Anna Besana-Zucchi’;
Gianni Pozzi è nel volume con ‘Battaglia del San Martino: le prime
commemorazioni’; Sergio Redaelli ci parla de ‘Il Giornale, le cronache degli
anni di piombo varesini’; Eugenio Carlini, Paola Guldero, Elisa Scancarello e
Adriano Martinoli firmano il pezzo ‘Cinghiale: da specie di macchia a
estemporaneo cittadino. Quali prospettive future per la gestione del
cinghiale?’; e ancora Giancarlo Peregalli con ‘In ricordo di Giancarlo
Peregalli: un estratto dalla tesi di laurea Una ricerca di demografia storica.
La popolazione della parrocchia Santi
Giacomo e Filippo Apostoli di Laveno dal 1680 al 1797’; Stefania Peregalli ci
parla di ‘Carluccio Taccani, il catalogatore di Laveno’; Margherita Macchi
torna su ‘Giancarlo Peregalli, appassionato animatore della ricerca storica
nella scuola. Frammenti di nostalgici ricordi’; Alberto Palazzi è presente ‘In punta di penna...Il Comune di
Cocquio Trevisago’; infine l’Album Fotografico, a cura di Sergio Baroli.
Basta scorrere i nomi degli autori e i titoli degli articoli per comprendere
la qualità del volume, graficamente davvero ben confezionato, ricco di
illustrazioni, su carta patinata.
La prima neve è la più bella, è candida e non fa danni. La cura delle prime volte...come le prime pagine del primo quaderno di prima elementare.
Venerdì 16 dicembre, ore 18.30, nella chiesa parrocchiale di Masnago, verrà celebrata una Messa in ricordo del mio amico Leo.
Un altro tassello arricchisce il progetto CurArti sviluppato dalla Fondazione Il Circolo della Bontà in sinergia con l’Asst Sette Laghi: questa mattina (giovedì 15 dicembre, ndr) nella hall del monoblocco dell’Ospedale di Circolo è stato inaugurato un nuovo allestimento che valorizza il restauro del “San Carlo che elargisce l’elemosina ai poveri”. L’opera fu realizzata da Francesco Innocenzo Torriani, pittore nato a Mendrisio nel 1648 e morto nel 1700 a Como, dove aveva bottega, e rappresenta una delle tele più preziose della quadreria dell’ente ospedaliero, ora riportata all’attenzione di pazienti e visitatori.
Sull'ultimo numero della rivista 'Menta e Rosmarino' è uscito questo mio racconto.
Mancavano pochi giorni al Natale. Era invece passato da poco il Natale
quando nonno Giorgio (allora non era nonno né padre e nemmeno sposato) fumò la
sua ultima sigaretta. Era appena tornato da naja, era in casa di amici a
Mondonico, davanti al camino, prese una Marlboro, la fumò fino all’ultima brace
e poi disse: “Non fumo più, questa sarà l’ultima.” E così fece. Mantenne la
promessa ma ora, quarantatré anni più in là di quelle parole impegnative, dopo
essersi sposato, aver messo al mondo più di una vita ed essere diventato nonno,
disse, sempre davanti ad un camino: “Mi voglio fumare una sigaretta.” E pensare
che da allora non aveva fatto più nemmeno un tiro.
Sarà stato perché sedeva anche quella sera davanti a un camino, il suo.
Avevano, lui e nonna Barbara, rimesso a nuovo una villetta, che era diventata
moderna ma lui aveva posto una condizione: doveva rimanere il vecchio camino,
un gesto di riconoscenza verso chi quella casa aveva acquistato (i suoi
suoceri) e per conservare qualche pietra del passato.
Forse era il camino, forse era il trasferimento nella villetta di
Caldana, paesino simile a quello del suo ultimo fumo; o forse era la presenza
dei suoi tre nipotini, che si erano avvicinati a lui un po’ per scaldarsi un
po’ perché stavano bene lì, con il profumo del nonno e il suo corpo ossuto e
spigoloso. Rachele, la più grande, nove anni, sedeva e rovistava nella brace
con l’attizzatoio; Tobia, sei anni, fresco di prima elementare, stava silenzioso
a selezionare i suoi pensieri; Silvia, quattro anni, cercava di arrampicarsi
sulle ginocchia del nonno e parlava, parlava, parlava.
La nonna lavava i piatti e quando sentì il desiderio del nonno fece
finta di niente. Ma a Giorgio, quella sera, mancava proprio una sigaretta.
“Barbara, dove sono le tue Muratti?”
“Cosa sono le Muratti?” chiese Silvia.
“Le sigarette” rispose suo nonno. Sì, proprio le Muratti light che lui e
Barbara avevano fumato insieme cinquant’anni prima, nell’estate del loro primo
incontro: un tempo magico, eterno, incorruttibile.
“Lascia perdere” disse la nonna.
“No, no...non lascio perdere...sono sopra il frigorifero?” e si alzò per
controllare. Erano lì. Ne prese una: immacolata, velenosa e invitante.
“Nonno, ma fumi davvero?” disse la maggiore dei suoi tre nipoti.
“Certo.”
“La nonna fuma, ma tu...Non ti ho mai visto” disse Rachele.
“Infatti...non fumo da una vita.”
“Ma sei capace?” disse Tobia.
“Credo di sì.”
Giorgio tornò al camino, sollevò un rametto con la punta infuocata,
accese la Muratti, aspirò e provò subito un piacere intenso, una boccata di
giovinezza.
Il fuoco nel camino era robusto, la legna scoppiettante mandava una
dolce melodia. Così il nonno ebbe voglia di raccontare. Ma cosa? La guerra non
l’aveva combattuta, episodi di particolare eroismo non erano contemplati nelle
sue memorie, avrebbe potuto parlare di altri, dei suoi genitori, dei suoi
nonni, di parenti passati almeno alla storia locale, oppure inventare ma, a
parte Silvia, gli altri due nipoti – e soprattutto Rachele – stavano lasciando
le sconfinate praterie della fantasia e del sogno per incamminarsi sullo
stretto e scomodo sentiero della realtà. Pensò allora di parlare ai giovani del
suo amore per Barbara.
“Ma lo sapete che questa sigaretta, stessa marca, stesso tipo, Muratti
light, è stata la prima sigaretta che ho fumato con la nonna, quando ancora non
eravamo sposati?”
Nessuno rispose, nemmeno Silvia, che si era accomodata sulle gambe del
nonno e si strusciava come un gattino. Attendevano sviluppi più interessanti.
“La nonna era bellissima!”
Barbara si girò verso il gruppo al camino e sorrise, temendo che il
vecchio uomo, al suo fianco da una vita, avesse bevuto in eccesso.
“Era la più bella ragazza del nostro gruppo di amici, direi di tutta la
città…”
“Nonno, forse esageri un po’” disse Rachele, con un sorriso furbo e
venato della prima malizia.
“No, no...non esagero…Però vi devo confessare una cosa.”
“Che cosa?” chiese Tobia.
Giorgio aspirò dell’altro fumo, lo gustò in gola e lo soffiò fuori con
delicatezza.
“Dopo un po’ abbiamo deciso di sposarci, ma io non ero proprio sicuro
sicuro.”
Barbara si girò di nuovo e disse: “Giorgio…” ma il nonno proseguì per la
sua strada: “Avevo paura.” Guardò Rachele: “Ad esempio, a te non è mai capitato
che c’è un ragazzino che ti piace ma hai paura e non gli dici niente?”
Rachele arrossì quel tanto da far capire al nonno che forse la domanda
era inappropriata.
Giorgio passò allora a Tobia: “Oppure tu, Tobia, quando sei su un
muretto e vorresti saltare giù ma ti sembra troppo alto, sei indeciso, gli
amici ti dicono che devi buttarti, qualcuno dice che se non lo fai sei un
fifone e allora tu alla fine chiudi gli occhi e ti butti giù? Rischi e se ti va
bene sei contento.”
“E io, nonno?” chiese Silvia
“Tu sei ancora troppo piccola…” e la bimba ci rimase male.
“Nonna, tu sei bella anche adesso” disse Rachele.
La sigaretta era alle estreme faville. Nonno Giorgio fece l’ultimo tiro,
inondò il locale di fumo, che si unì a quello del camino.
“Grazie, piccola” disse la nonna, “e non date retta alle cretinate del
nonno…”
Tobia si mise a ridere e disse: “Nonno, sei un cretino?”
Giorgio, guardando nel panorama affumicato, ringraziò per i doni
ricevuti, disse: “Mamma mia, che buona
questa sigaretta!” e buttò il filtro nel fuoco.
E’ chiaro che l’ideale sarebbe essere attivi, progettare, lavorare,
essere utili alla società e a se stessi sino all’ultimo fiato di vita. Questo
sarebbe il massimo, ma è il destino di pochi fortunati. E’ stato ad esempio la
sorte dell’architetto Ovidio Cazzola: ha lavorato sino a 91 anni, poi ci ha
lasciati in pochi giorni. Ma per i più il destino è diverso. Spesso a causa dei
guai di salute si perdono le forze e l’entusiasmo, non si riesce più a
progettare nulla, le nostre fatiche non hanno più senso, tutto appare
inutile...ed è a questo punto che entra in gioco quella che chiamo la riserva,
cioè tutto ciò che abbiamo accumulato di positivo, di gratificante, di
consolante nella nostra vita e che ora torna, nutrimento dell’anima sino al
momento dell’addio. Un po’ come la storia della cicala e della formica.
L’inverno della vita deve trovarci con il granaio ben rifornito.
C’è chi dice: “Non bisogna vivere di ricordi!” Ma va là...i ricordi, per
i più, saranno essenziali e chi non ne ha, chi tirando le somme dice: “Ma io
che ho fatto?” ecco, allora lì cominciano i guai veri. Quindi, finché siamo in
tempo, alimentiamo la riserva, diamoci da fare, progettiamo, realizziamo,
rischiamo qualcosa.
Torno un attimo sul libro di Fernando De Maria ‘Lettera dalla
solitudine’. Come è mia abitudine, scrivo qualche frase di tipo personale.
Quando e come ho conosciuto Nando? Non
sono fra i fortunati che sono riusciti a correre con lui, quando lui correva
ero troppo giovane e poi praticavo un altro sport e lui andavo troppo forte. Il
suo personale sulla maratona è due ore venti e rotti, io (sebbene corsa a
quarantatré anni) un’ora in più!!!! E’ stata la scrittura a farci incontrare.
Lui già da tempo teneva la rubrica sulla Prealpina, ‘Scritto col cuore’, io, sul
finire degli anni Novanta, bussai per cercare la collaborazione, e anche nel
mio caso i giornalisti del foglio locale furono accoglienti: nel mio caso prima
Gianni Spartà e poi Fausto Bonoldi. Fu proprio Spartà a consigliarmi di tenere
una rubrica simile a quella di De Maria: nacquero così i miei ‘Pensieri &
Parole’. Che De Maria lesse e mi contattò. Così ci conoscemmo. Feci la
recensione al suo ‘L’arlecchino di Velate’, qualche volta ci siamo incontrati
ma mai con la tuta, e mi dispiace. Ci siamo rivisti di recente, lui mi ha
fornito ottimo materiale per il mio libro ‘Regina delle Prealpi – L’atletica
leggera a Varese’ (compresa la foto che lo ritrae con Max Lodi e che qui ripropongo).
Infine il suo nuovo libro.
Grande Nando! Non so se il libro si può trovare in libreria. Consiglio
di sentire direttamente l’autore: 0332-212488