E’ chiaro che l’ideale sarebbe essere attivi, progettare, lavorare,
essere utili alla società e a se stessi sino all’ultimo fiato di vita. Questo
sarebbe il massimo, ma è il destino di pochi fortunati. E’ stato ad esempio la
sorte dell’architetto Ovidio Cazzola: ha lavorato sino a 91 anni, poi ci ha
lasciati in pochi giorni. Ma per i più il destino è diverso. Spesso a causa dei
guai di salute si perdono le forze e l’entusiasmo, non si riesce più a
progettare nulla, le nostre fatiche non hanno più senso, tutto appare
inutile...ed è a questo punto che entra in gioco quella che chiamo la riserva,
cioè tutto ciò che abbiamo accumulato di positivo, di gratificante, di
consolante nella nostra vita e che ora torna, nutrimento dell’anima sino al
momento dell’addio. Un po’ come la storia della cicala e della formica.
L’inverno della vita deve trovarci con il granaio ben rifornito.
C’è chi dice: “Non bisogna vivere di ricordi!” Ma va là...i ricordi, per
i più, saranno essenziali e chi non ne ha, chi tirando le somme dice: “Ma io
che ho fatto?” ecco, allora lì cominciano i guai veri. Quindi, finché siamo in
tempo, alimentiamo la riserva, diamoci da fare, progettiamo, realizziamo,
rischiamo qualcosa.
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