venerdì 10 marzo 2023

Lago, sport e poesia



 Intervento a incontro Ecorun del 10.03.2023

Lago e sport. Amo la salita quindi io e il lago piatto non andiamo molto d’accordo. Abito a Sant’Ambrogio e preferisco puntare a nord, in bici o di corsa verso il Sacro Monte e il Campo dei Fiori. Lo scorso anno ho stabilito il mio record: 207 salite in bici al Campo dei Fiori in un anno. E così la corsa: la rizzada delle Cappelle, Villa Toeplitz, il Poggio, Velate...su e giù. Il lago è piatto. Ammetto di aver percorso ben poche volte la pista ciclabile, più che altro in bici: quando è stata inaugurata, quando hanno organizzato la manifestazione Abbracciamo il lago. Giusto per curiosità. Troppo piatta, troppo trafficata, in estate troppo caldo, troppi insetti...E il nuoto? Quando mi preparavo per il triathlon preferivo decisamente il lago di Monate: in bici a Monate e poi il nuoto. Anche perché il lago di Varese non era balneabile.

Quindi che dire? Che agli inizi degli anni Sessanta i miei primi bagni li ho vissuti proprio alla Schiranna. Avevo 7-8-9 anni, più che nuotate erano tuffi, immersioni fra le alghe e fra i pesci, poi il ritorno in autobus, mio papà non aveva ancora la patente. Il nuoto l’ho perfezionato alle scuole medie, quando alla fine degli anni Sessanta venne inaugurata la piscina di via Copelli e noi, alunni delle medie, l’ora di educazione fisica la svolgevamo lì, con il prof. Secchia.

Lago e sport: non ho mai praticato il canottaggio. Però come insegnante di educazione fisica ho accolto alla Vidoletti gli uomini della Canottieri Varese. Allora c’era Renato Gaeta. Ci portavano il remoergometro, i ragazzi provavano, alla fine dell’anno si facevano le gare. Ho messo sul remoergometro anche il sindaco di allora, il leghista Raimondo Fassa. Era la metà degli anni Novanta. Fra le mie ultime alunne posso annoverare Greta Bulgheroni: se non erro si sta facendo onore proprio alla Canottieri.

Niente canottaggio ma la pesca sì, per un paio d’anni o tre, ho iniziato in seconda media e ho smesso in quarta ginnasio. Si può chiamare sport la pesca? Mah, ora non la chiamerei sport ma allora mi divertivo, ore ed ore in piedi, da solo (solitario di natura), le prime sigarette rubate a mio padre, alla Schiranna o dai miei compagni di scuola, i fratelli Crespi di Galliate Lombardo. E di sport ne facevo, altroché, ma non con la canna in mano: in bici verso il lago, all’andata discesa e la gioia per la previsione di grandi pesci, al ritorno salita, fatica e i soliti quattro gobbini pieni di lische, qualche scardola che sapeva di fango..Però mio padre li cucinava in carpione e se li mangiava pure. Lì mi sono fatto le gambe. Lì ho sperimentato la gioia dell’attesa (la notte prima non dormivo sognando lucci, boccaloni, tinche, carpe, anguille) e la delusione amara della sconfitta, con il muro della Cartabbia o la salita di Bobbiate da superare.

Poi mi è passata la voglia di pesci e il lago si  è allontanato, anche perché sempre più inquinato. Ci hanno buttato dentro di tutto. Dicevano che fosse il più pescoso d’Europa. E in effetti in quegli anni i pesci venivano a galla senza nemmeno la fatica di pescarli: morti stecchiti.

Però il primo luglio dello scorso anno ero lì, alla Schiranna, e dopo sessant’anni sono tornato in acqua e ho fatto una nuotata. Dicono che è balneabile: vedremo di approfittarne.

Non mi è mai passata la passione per lo sport,  diventata anche la mia professione, ma lontano dal lago. Poi, a metà degli anni Ottanta, è arrivata la scrittura: lago, sport e poesia. E nella mia scrittura il lago è tornato, molte volte, nelle tante pagine che ho dedicato alla mia città. Perché se si parla di Varese non si può trascurare il lago, soprattutto quello poetico che si ammira da lontano, come una bella donna o un bell’uomo non più giovani che appaiono piacenti e interessanti, ma non bisogna avvicinarsi troppo per non rimanere delusi.

Ho ambientato sul lago almeno tre mie racconti. In uno parlo di una corsa intorno al lago, in un altro immagino un giorno di agosto, caldo allucinante, la ricerca di un po’ di fresco al Parco Zanzi (che non è mio parente), le zanzare, infine il tuffo in acqua ma subito un vigile, pronto a dare la multa. E poi ho rivissuto le mie sfide coi fratelli Crespi a Galliate Lombardo: io bravo a scuola, loro meno, però sulla loro terra lacustre erano dei fenomeni, sapevano dove mettere i piedi e dove lanciare amo e cagnotto. E allora immagino prima la mia sconfitta (lenza che si impiglia nelle canne, io che finisco nel fango tipo sabbia mobile) ma alla fine c’è il mio riscatto, pesco un boccalone enorme, tanto che i due Crespi restano a bocca spalancata. Nel mio romanzo breve ‘Vicolo Canonichetta’ il protagonista, in una crisi d’ansia, cerca un po’ di pace proprio sul lago, nel dialogo con un anziano pescatore.

E poi la poesia. Almeno una l’ho dedicata al nostro lago. Sarebbe in dialetto bosino ma il dialetto non lo so parlare bene, e non è detto che tutti qui lo capiscano. Credo che anche in italiano renda qualcosa. E così, con queste ultime parole, ci salutiamo: 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fiato del mio lago

 

Pelle tagliata dai remi,

dal salto del boccalone;

pelle di vetro e il sasso,

un buco, anelli d’acqua.

 

Salta il gobbino,

ballano l’anguilla e le cannette

e la barca, lama che taglia.

 

Fuori dai buchi e dai tagli,

fiato del mio lago,

la nebbia, adagio adagio,

ragnatela di vapore, fumo freddo,

abbraccia le tue rive,

sopra il Sasso di Gavirate s’arrampica sul Campo dei Fiori

e sulla città.

 

Varese non conosce il suo lago,

giù nella bassa,

nascosto nella nebbia, nel caldo,

acqua sciupata dall’amaro del lavoro.

 

Ma oggi salta la scardola e il persico,

corre come un dannato il luccio rabbioso,

la tinca mangia il fango del fondo

e l’aria viene fuori, una bolla,

tante bolle sopra la pelle bagnata.

 

Fiato del mio lago,

acqua viva.

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