Profuma di stampa fresca il libro che Paolo Costa (giornalista in Regione
Lombardia) ha dedicato a Silvano Contini, ciclista varesino di fama nazionale e
anche di più. E allora parto dalla fine, cioè dal parere che di Contini ha espresso
Marco Pastonesi, giornalista alla Gazzetta dello Sport: “Silvano Contini
potrebbe tirarsela: in 13 anni da professionista, oltre alle 14 maglie rosa (e
a quella bianca di miglior giovane al Giro ‘79), ha vinto una quarantina di
corse, le ha vinte di tutti i generi, giri e tappe, classiche italiane e
classiche-monumento, cronoprologhi e crono coppie, cronosquadre e cronoscalate,
e le ha vinte in tutti i modi, in volata e in fuga, in gruppetto e da solo.
Invece Contini ricorda, racconta, spiega come se quei primati, quelle vittorie
appartenessero a un altro corridore. Più che modestia, semplicità. Più che
umiltà, realismo. E nessun rimpianto, nessun rammarico, nessuna polemica.”
Ecco allora un volume che ci regala un personaggio varesino che ha
accettato la pubblicazione purché diventi strumento di beneficenza, occasione
per aiutare chi ha avuto meno fortuna di lui. Classe 1958, da Leggiuno, Silvano
ha le caratteristiche del ragazzo prodigio, tanto che a 19 anni è già ciclista
professionista, alla Bianchi Faema, alla corte di Felice Gimondi; come se un
giovane scrittore trovasse, per il suo romanzo d’esordio, le porte aperte alla
Mondadori o alla Einaudi. Un paio d’anni di gavetta, poi gli anni Ottanta con
il periodo d’oro di Silvano, quarto incomodo fra Moser, Saronni e
l’inarrivabile Bernard Hinault. 1980-1981-1982, tante vittorie, tante maglie
rosa e tutti si aspettano il botto: il varesino esploderà. La favola è bella ma
non ci sarà il gran finale: Contini alternerà altre vittorie ma anche sconfitte
e cali di forma, naufragi clamorosi, risalite, nel 1984 il matrimonio, l’ultimo
anno alla Bianchi e forse la consapevolezza che si pedalerà ancora, ma non più
ad altissimi livelli: dalla Bianchi alla Ariostea, e poi alla Gis gelati, alla
Del Tongo, alla Malvor Bottecchia, infine alla Gis Benotto: è il 1990, ultimo
anno da pro, Contini appende la bici al chiodo, sul muro della falegnameria di
famiglia, che da quel momento sarà la sua nuova vita e la sua fonte di
sostentamento.
Oggi il campione leggiunese (patria anche di Gigi Riva, rombo di tuono)
è padre felice di tre figli, marito contento, nonno soddisfatto, pedalatore
occasionale della domenica, con i vecchi amici, su tutti Beppe Saronni, che fu
suo rivale ma anche compagno di squadra.
Bene ha fatto Paolo Costa a regalarci questo libro, edito da Sunrise
media, arricchito da un corposo apparato fotografico, volume che completa la
terna di testi che Paolo (ciclista lui stesso) ha voluto dedicare ai corridori
di fama: Binda, Bartali e ora Contini, che ci sta bene fra i due, non è di
troppo.
Si tratta di un libro a tappe più che a capitoli, frutto di molte
chiacchierate di Costa con Contini, di citazioni di interviste rilasciate a suo
tempo dal campione, completato da alcuni testi di giornalisti del settore,
varesini e non: Gabriele Tacchini, Dario Ceccarelli, Riccardo Prando, Sergio
Gianoli, Angelo De Lorenzi, Luciana Rota. Un grazie particolare l’autore lo
rivolge a Felice Magnani, Giordano Azzimonti e Giovanni Baranzini.
Le pagine scorrono come i palmer di una bici in discesa dallo Stelvio;
gli appassionati delle due ruote troveranno spunti per divertirsi, per
ricordare e per imparare che la fatica è come il sale, indispensabile per chi
non si accontenta di una vita insipida.
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