Grazie
al Premio Chiara – Festival del racconto, ieri sera a Villa Recalcati i
varesini hanno avuto modo di conoscere Matteo Lancini, psicologo e
psicoterapeuta, presidente della fondazione Minotauro di Milano, insegnante
presso il dipartimento di psicologia dell’Università degli studi di
Milano-Bicocca e presso la facoltà di Scienze della formazione alla Cattolica
di Milano. Lancini da decenni si occupa soprattutto di adolescenza, e proprio
questo è il tema del libro che è venuto a presentare. Titolo: ‘Sii te stesso a
modo mio’ (Raffaello Cortina editore). Sottotitolo: Essere adolescenti nell’epoca
della fragilità adulta. Bambi Lazzati ha fatto gli onori di casa, mentre la
giovane Camilla Manara ha intervistato l’autore, che certamente con la sua
dialettica non ha fatto addormentare i presenti, unendo competenza e un
linguaggio a tutti accessibile: cosa non scontata per chi è da considerarsi fra
i massimi esperti italiani del settore, con decine di pubblicazioni alle sue
spalle e, soprattutto, una vasta esperienza sul campo. Si legge in quarta di
copertina: “Per molto tempo, ai ragazzi abbiamo chiesto di aderire alle
aspettative ideali di genitori e insegnanti. Li abbiamo cresciuti come piccoli
adulti, li abbiamo spinti a socializzare, li abbiamo protetti dall’infelicità e
dal dolore. Oggi però lo scenario sta cambiando. Siamo approdati a una società
che non si limita più a chiedere ai ragazzi di essere all’altezza delle nostre
aspettative, ma li costringe a seguire un mandato paradossale: ‘Sii te stesso,
ma a modo mio’. Questa trasformazione, che per l’autore segna il passaggio al
paradigma postnarcisistico, è in atto da tempo, ma è stata la pandemia ad avere
smascherato il rischio di un’inversione dei ruoli: mentre i ragazzi si
adattano alle esigenze degli adulti pur
di farli sentire tali, questi ultimi sono alle prese con una crescente
fragilità. Come riuscire allora a sostenere gli adolescenti nella realizzazione
di sé? Le strade percorribili sono molte, ma farsi carico della confusione,
dell’ansia, del disagio e dell’assenza di prospettive future delle nuove
generazioni senza occuparsi della fragilità degli adulti non è più pensabile. ‘Per
mettersi in una posizione di ascolto bisogna essere saldi, soprattutto se l’altro
è un figlio che soffre’.”
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