ph carlozanzi
Sabato 24 settembre
1994 6.05
Perché
tante religioni? No, non mi convince il primato della mia. Si dice: tutte le
religioni hanno un germe di verità, hanno un barlume di conoscenza di Dio, ma
solo il cristianesimo cattolico presenta la rivelazione tutta intera, la
rivelazione piena. Solo Cristo è il re dell'universo e della storia.
Come
dire che gli altri fedeli sì, possono intuire qualcosa di Dio, e poi non li si
vuole certo giudicare (questo naturalmente lo si dice adesso, prossimi al 2000,
non certo qualche secolo fa) a Dio il primato del giudizio finale.
No,
proprio non riesco a far quadrare questo cerchio. Il tarlo del sospetto di una
clamorosa invenzione mi prude dentro; complicato, altroché, dallo scandalo
della divisone fra cristiani. Non mi va giù che non si riesca ad andare
d'accordo nemmeno fra di noi. Cattolici, ortodossi, protestanti di varie
risme...ecco come si è andata configurando l'unità nell'unico nome di Cristo.
Ovvio che di fronte a simile evoluzione storica si debbano tirare alcune
conseguenze:
- Santità e peccato, grandezza e debolezza si mischiano in modo
diabolico nel cammino ecclesiale. La fede nell'unico Dio non risparmia nessuno
da uno sforzo immane, a volte impossibile, di conversione, di crescita verso il
bene che deve essere quotidiana, mai realizzata una volta per tutte.
- Le divisioni nascono soprattutto nel passaggio delicatissimo
fra il divino e l'umano, nel momento in cui ci si sente in diritto di dover far
da tramite fra Dio e gli uomini. E' il discorso sacerdotale, è la figura del
Papa, è l'obbedienza ad un'autorità che parla nel Suo nome.
- Ecco poi il grande, immenso capitolo della teologia,
dell'interpretazione, dell'esegesi della Parola, di quell'unico libro che
vorrebbe insegnarci a vivere, che vorrebbe presentarci il vero volto di Dio.
Su
Dio i discorsi si dilatano, difficile seguire una via maestra. Vado a ruota
libera, come mi suggerisce il cuore.
Un
primo sforzo non da poco è quello di credere nel Cristo di Dio. Ma ancor
peggio, ancor più arduo è affidarsi ad una sola Chiesa, ad un unico Papa, ad
affermazioni autorevoli che non convincono.
Per quale motivo noi cattolici siamo meglio degli altri? Perché
siamo gli eredi più credibili, più fedeli dei primi apostoli, di San Pietro...?
Perché gli altri hanno tradito, si sono fatti abbindolare da riti, da scorciatoie,
da vie più comode? Perché gli altri sono eretici? Pur avendo alle spalle una
conoscenza di storia ecclesiale non certo approfondita, ho l'impressione che
non si possa parlare con troppa e sollecita superficialità di tradimento da una
parte, di assoluta fedeltà e maggior rigore dall'altra.
Il problema è uno, anzitutto: il primato del Papa. E poi il
ruolo del Magistero, nell'esegesi.
Come l'uomo ha bisogno di un
dio che gli spieghi ciò che non può sapere, che gli offra la speranza per il
dopo, così l'uomo ha bisogno di un dio che si espliciti in una forma storica,
in un gruppo organizzato, con un'autorità costituita, che possa rassicurarlo,
difenderlo dagli assalti del dubbio, che possa anche pensare per lui. L'uomo ha
bisogno di una piccola o grande assemblea che condivida le sue ansie. Ecco che
tornano i bisogni, i desideri iscritti nei cromosomi, ed ecco ancora il sospetto
di una tragica invenzione. Tragica, lo scrivo, perché dopo la morte ci sarebbe
soltanto morte.
Quindi lo sforzo che ciascuno dovrebbe fare, che io faccio anche
battendo al computer, per non relegare Dio in un angolo riposto del mio cuore,
è quello di indagare sul Cristo, anzitutto su questo Figlio di Dio.
Sul
Cristo torneremo continuamente, anche se alla fin fine, oggi come oggi, arrivo
a non poter negare la Pascaliana scommessa: comunque, si leggano pure tutti i
libri, si approfondisca sino alla nausea, si cerchino prove e controprove,
deduzioni e controdeduzioni, alla fine resta solo, di certissimo, una
scommessa. Val la pena rischiare per Cristo (e quindi per Dio) o per il non
Cristo? E questo è detto per sottolineare anche un dato fondamentale: chi
si imbatte nel discorso religioso, chi crede giusto pensarci e arrivare magari
ad una scelta di campo, deve tener conto che la fede ha le sue leggi da
rispettare, e tali leggi davvero paiono certe, irrinunciabili. E su questa
legge anch'io metto la mano sul fuoco. Mi pare davvero certa. La fede è
sovrarazionale. La fede ascolta tutto, sente tutto, cerca di accontentare ogni
esigenza, ma in fondo alla via non c'è un comodo attico o una lussuosa villa
con piscina. In fondo alla via, larga o stretta che sia, ci sono i lavori in
corso, c'è un cratere, e poi il buio, e quel cratere va saltato, se lo si
vuole, nel buio. Quindi la ragione può anche convincere, dar la carica
necessaria per quel volo. Per molti è così, tanto che si parla di un Dio
evidente. E' quindi evidente che, dopo aver a lungo pensato, la mente concorda
sulla necessità di Dio. Quindi non sempre il percorso razionale approda al
dubbio, al rifiuto, all'ateismo. Anzi, molti sostengono che le prove
ragionevoli di Dio (quelle di San Tommaso e di altri) sono un esito geniale,
intellettualmente ineccepibile. E così trovano conforto e la forza di
continuare. Ma è anche vero che altri (e lo sperimento sulla mia pelle)
pensano, leggono, si sforzano di bere, per sete, al calice della ragione, ma
non trovano né certezze né conforto. Anzi, più si mandano giù parole,
filosofie, teologie... più ci si confonde. Dio pare scantonare dall'immensa
biblioteca, nella quale ci attardiamo a leggere di Lui. Così la fede, se la si
vuole, va ricercata altrove, rispettando la legge della 'sovrarazionalità'. Qualcosa
in più, meglio, qualcosa di qualitativamente diverso da una legge scientifica,
da un teorema, da un corollario, da una deduzione matematica. Su questo non ci
piove. Se non lo credessi, sarei il più illuso degli illusi. Sarei ancora ai
blocchi di partenza.
Sconfitta della ragione? Buio medioevale? Cedimento, per
pochezza intellettiva? Resa alla magia, alla superstizione, ad un intelleggibile
Mistero? Non credo proprio. Come l'acqua ha bisogno di un contenitore per non
disperdersi, così la fede vuole un contenitore più ampio della sola ragione,
per non insterilirsi, per non morire.
34-continua
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