ph carlozanzi
Giovedì 6 ottobre 1994 6.10
Stiamo ancora sulla
riflessione di ieri. 'E' il cuore che sente Dio, non la ragione.' Questa
era una frase che andava di moda vent’anni fa. Ero adolescente, anni di
immaginette, di frasi scritte sul libretto delle Ore. Via il Dio della ragione,
bisogna 'sentire’ Dio, innamorarsi di Dio, provare piacere per Lui...Dio, il
nostro amante. Del resto anche nella Parola (pensiamo ai Salmi o al Cantico dei
Cantici...) questo rapporto fra amante e amata è ricorrente. Ebbene, il mio cuore
sente questo Dio, io mi sono innamorato del Dio che mi si presenta sotto le
mentite spoglie della bellezza. Bellezza di natura, bellezza della nuova vita.
Quanto, in questi dieci anni, mi hanno parlato di Dio le mie
bambine. Quanto deve essere riconoscente alla loro bellezza, alla loro
ingenuità, alle loro domande, alla loro spontaneità, ai loro sorrisi che ti
coinvolgono dentro, che ti danno sicurezza, che ti convincono di essere stato
utile. Ma quando le bimbe frignano, quando il loro esserci diventa oppressivo,
ossessivo, motivo di profonda preoccupazione, di ansia, di notti
insonni...ecco, lì il volto di Dio si appanna, va in frantumi come un oggetto
di cristallo. In quegli attimi non solo ci si dimentica di lodare il Dio
creatore, ma lo si può anche maledire. Certo non lo si avverte più come il
Padre buono, ma piuttosto come quel Personaggio ipotetico costretto, Lui pure,
a subìre l'irrazionalità e la scomodità dell'esistenza.
Eppure c'è qualcuno che 'sente' Dio anche nel
dolore, nel soffrire...Sì, sì, anch'io lo sento, in genere non Lo dimentico, ma
cambia la prospettiva. Non più il Dio da lodare, da ringraziare, il Dio vicino,
il Dio creatore di spazi e di oggetti che ci soddisfano a pieno, ma il Dio da
implorare perché è un Dio che ci serve. Ci si sente inetti, impotenti, e allora
ci serve Chi può ipoteticamente toglierci le castagne dal fuoco. Dio non lo
dimentico nelle notti insonni, ci si rivolge a Lui per chiedere aiuto. E più il dolore
avanza, più l'irrazionale mistero della piaga che si stende sul mondo e sulla
vita si dilata, più la preghiera si fa intensa, necessaria. Dio, avvertito non
già come l'autore più o meno responsabile di quello spazio scomodo, rugoso,
inquietante, Dio pensato come un fratello, un padre costretto a subire, ma
insieme capace di andare al di là delle cose, capace di un gesto di
resurrezione, questo Dio e il suo nome salgono sulle mie labbra, in un pregare
stentato, rabbioso.
Quanta
rabbia in me, di fronte alle immagini della miseria umana. Del bambino nato mancante, portatore di infermità
permanenti...Sì, è la rabbia il sentimento più certo. Rabbia per questo esubero
di imperfezione, per la costrizione a dover portare una ferita, poi una cicatrice
enorme, visibile. Vi sono paure che mi assalgono, forse addirittura superiori
al pensiero della malattia per me, della morte per me. Mi terrorizza un'infermità
permanente, soprattutto verso Carla, ma più ancora verso i miei figli. Il
pensiero che possano soffrire, a lungo, che possano restare colpiti per la vita
e che mi guardino, chiedendo una spiegazione decente a tanta assurdità, ecco,
questa ipotesi (per nulla improbabile, tanto è vasta la nostra inefficienza) mi
fa mancare l'aria. Devo ramazzarla via subito, perché non vivrei. E se è
possibile in me, nella mia grettezza, un briciolo di compassione, questa è
spesa anzitutto per quei genitori che passano per la mulattiera di questo monte
calvario.
In
questo istante penso a Dio, e me lo immagino davvero come Padre, con gli occhi
lucidi, con l'angoscia nel cuore, con la mano impotente, con la medicina
inefficace, e con tanta rabbia nel cuore per non poter far nulla al presente se
non, al futuro, l'immenso spazio aperto della resurrezione. Questo è il mio
Dio, un Padre che sa piangere, che sa ammettere di non poter far nulla, se non
l'offerta di una Sua presenza misteriosa, se non l'offerta di una promessa per
il futuro.
Mi è insopportabile il pensiero di un Dio che saggia, con il
dolore, la nostra fedeltà, che ci punisce, che ci bastono per i peccati
commessi. Mai crederei ad un Dio così!
La
bellezza è attributo divino. Sì, anche una bella donna, una donna armoniosa,
ben fatta mi parla di Dio, mi avvicina a Lui. E' dell'armonia che abbiamo
bisogno, per non disperderci nel caos. I nostri occhi vogliono la perfezione,
tracce, riflessi di perfezione, grazie ai quali risalire ad un Autore
inimitabile, ad un Creatore più in gamba di noi. E il figlio è atto creativo che ci supera. E
il capolavoro artistico ci fa cambiare appartamento, ci fa prendere
l'ascensore, ci fa salire ai piani alti. Il brutto è sopportazione,
incomprensione, domanda senza risposta; il limite ci invoglia alla repulsione.
E' un
Dio con tratti troppo umani? Diciamo, forse, che oggi come oggi credo più
intensamente al Dio del sentimento che a quello della ragione. E cerco di spiegarmi.
'E' il cuore che sente Dio, non la ragione' si diceva. Ma prima
colgo un altro pensiero, prima che evapori. Un attimo fa ho scritto: 'Mai
crederei ad un Dio siffatto, ad un Dio che mi punisce per avere la controprova
della mia fedeltà.' Oggi credo molto al Dio che soddisfa le mie aspettative. E
qui sento già il coro: ma sei tu che devi soddisfare le Sue aspettative, non
viceversa. Sei tu che devi chinare il capo, e dire: Obbedisco! Abbiamo scritto
dentro di noi aspettative, desideri forti. Vi sono inclinazioni che ci
paiono, che giudichiamo allettanti ma insieme 'cattive', altre che ci coinvolgono
e che riteniamo, ad occhio, positive. E qui si colloca l'aspettativa di Dio.
Per me sono: il piacere innato del bello, il desiderio di eternità. Tali
aspettative o desideri o inclinazioni mi paiono universali. Ebbene, quando Dio
mi si presenta sotto questa veste, io Lo sento possibile e grande, direi
indispensabile. Amo Dio, perché soddisfa aspettative che mi sono trovato
dentro.
Poi c'è il Dio della Parola, il Dio che mi lascia un messaggio
scritto, il Dio che mi dà indicazioni, obblighi, prescrizioni, divieti. Il Dio
che, indipendentemente dal mio vissuto, si fa autorità, guida, maestro...Ecco
qui il volto di Dio che, attualmente, per me, è più in ombra.
43-continua
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