Venerdì 7 ottobre 1994 5.35
Dio del cuore e Dio della ragione. E' possibile questa
distinzione? Voglio forse costruire la casa, senza partire dalle fondamenta? Ho
iniziato un percorso senza esito, ho imboccato un vicolo cieco?
Le fondamenta per poter dirsi cristiani cattolici sono chiare:
fiducia nella Parola, fiducia nella Chiesa che la interpreta e che la
attualizza al presente. Io sto cercando di salvare capra e cavoli. Sto trovando
l'escamotage per poter affermare la mia cattolicità, negando la veridicità di
una Parola e di una Chiesa come Magistero. Questo è uno sforzo vano e
peregrino. I miei tentativi sono goffi. Conciliare l'inconciliabile. Il solito
cerchio da far quadrare.
A
volte mi ronza per la mente questa soluzione: va bene, ammetto -per far tacere
la ragione, per accontentare i dubbi- che non vi sia priorità di religione, si
sta parlando dell'unico Dio. Poco mi importa del problema ecumenico, del
problema interreligioso. Dio è uno solo, ed è quel Dio che tutti cercano e
chiamano in vario modo. Ma allora, perché mi professo cristiano? Quali elementi
mi tengono aggrappato alla Chiesa cattolica?
Sono
cattolico perché sono nato in Italia, perché mi hanno educato in questo ambito,
perché in fondo devo molto, di questa mia gioia esistenziale, alla comunità
cristiana, ai sacerdoti che ho incontrato. Il mio incontro con Dio, in Cristo,
è avvenuto qui. Poteva avvenire altrove, ugualmente avrei potuto essere
musulmano o ebreo o indù senza differenza. Non ne sarei rimasto religiosamente
handicappato. Cattolico per tradizione, più che per profonda convinzione. Convinzione
cioè del primato del Papa e del cattolicesimo. Va da sé che la soluzione non mi
soddisfa, che è mancante, che è un accomodamento. Del resto il passo successivo
è l'atto di fede incondizionato. Non è possibile l'atto di fede a metà. Non che
sia impossibile, anzi credo che la maggior parte di coloro che si professano
credenti in fondo lo siano a metà, amanti del compromesso (io per primo,
naturalmente). Si sente dentro il bisogno di radicalità, ed è assai scomodo dover
convivere con il dubbio. Ben più gratificante -anche se oneroso- spiccare il
volo della fede, chiudere gli occhi, zittire le proteste intellettuali, le
esigenze della ragione, saltare il baratro ed adeguarsi nella fede.
Ieri
sera, in comunità, il mio solito (solito da qualche anno) stato d'animo: non
poter intervenire, non poter dir nulla, non poter offrire meditazioni sulla
Parola, se non i miei soliti dubbi. Sono lì, ma mi manca la conoscenza delle
lettere per poter leggere la Parola.
Vangelo
di Marco, professione di fede di Pietro e quella domanda: "Ma chi sono io
per te?" Domanda personale, non comunitaria. Domanda che oggi mi rivolgo:
chi è Cristo per me?
Dovrei dire, con sincerità, che non so rispondere. Dopo tante
parole, oggi in me c'è un penoso silenzio, un'attesa che mi pesa. E non poco.
Succede
un po' questo, con la fede. Per tanti anni mi sono illuso che la fede avrebbe
potuto irrobustirsi con la meditazione razionale. Esempio: partendo da una fede
mettiamo di dieci (su un massimo di cento) uno legge libri e libri, sente
conferenze e conferenze, medita, s'interroga e così la percentuale aumenta,
sino al 100% del paradiso. Questa l'illusione. Invece di maggiori certezze,
sono arrivati i dubbi, come se avessi sbagliato strada, indirizzo, percorso. E
poi il rendersi conto che l'atto di fede, in fondo, è preventivo, perché i
frutti si colgono se si ha fede.
"Se crederete, vedrete" e non "Voi cercate di
vedere, e poco alla volta crederete." Questo è un punto, un passaggio
fondamentale. Questa è la ‘fregatura’ della fede.
Bisogna mettersi in viaggio, non basta stare sull'uscio,
guardare di fuori per convincersene. Bisogna avere il coraggio di partire senza
la certezza di una meta. Parrebbe buono -ed è anche il più usato tanto da essere
abusato- questo paragone del viaggio. Il guaio è che, nella mia esperienza, il
viaggio è cominciato, altroché. E camminavo spedito, correvo. Ma lungo la via
mi sono perso, a dimostrazione del fatto che non basta camminare, ma non
bisogna perdere la giusta direzione, quella che si chiamava la retta via. E
come fare a non perdere la via giusta? Rinnovando di continuo l'atto di fede,
confortati da qualche raggio di luce, ingannati -ma senza lasciarsi ingannare-
da cartelli di deviazioni magari allettanti. E' l'abusato discorso delle due
vie, quella larga e quella stretta. Ma nel mio caso in fondo c'è stato solo il
bisogno di capire di più, andando dietro come un bambino ad una necessità
profonda, non mi pare solo ad un vezzo intellettuale.
A volte penso a influssi diabolici in queste mie 'difficoltà' di
fede. Satana tentatore, Satana che allontana da Dio. Nulla lo conferma eppure
nulla lo smentisce. Il solito dualismo della religione: nessuna certezza, né
che sia vero né che non lo sia. La scommessa pascaliana. Per me è facile
scommettere su un Dio generico, anche se è sbagliato parlare di Dio generico,
perché il Dio che ho conosciuto, che conosco è quello dell'educazione
cristianocattolica. Non può parlare di un Dio qualunque, indefinito, uno come
me che lo conosce da quarant’anni.
Mio Dio, come è difficile questo Dio!!!
Certo, è suggestiva questa immagine, questa ipotesi di una lotta
fra Dio e Satana, lotta che si gioca sul terreno della libertà di questo
pover'uomo che sono io. Suggestiva, ma quanto reale? Oggi come oggi, mi pare
lontana dal mio modo di leggere i segni del sacro.
Mi aggrappo alla 'certezza' di un Dio che -come già scritto-
sento più che razionalmente, emotivamente (il Dio che s'esprime nel bello, nel
bene, nel desiderio d'eternità). Questo Dio mi conforta. Davvero mi pare
possibile. Un Dio anche capace di far scrivere pagine e pagine di libri sacri.
In fondo anch'io di pagine ne ho già scritte tante. E' il mio quinto evangelio.
Ci hanno già provato in molti, mi pare un esito lecito, non un atto orgoglioso.
Forse la soluzione è questa: credo, è assurdo ma credo, non in
un Dio generico ma -anche se non ne ho le prove, anche se molto non mi va...- nel
Dio padre di Cristo, secondo la tradizione della Chiesa Cattolica Romana. E
perché mai dovrei credere a questo Dio? Non perché il primato della Parola mi
convinca, né perché facciano fede le tante esegesi cattoliche, non perché mi
fidi ciecamente di un'Autorità...E perché mai allora, se è lecito?
Il fondamento, la roccia non è Cristo, ma quella certezza su un
Dio possibile che ho già cercato di esprimere. E torna la potente frase di
Sant'Agostino: "Tu non mi cercheresti, se non mi avessi già
incontrato." Sì, questo Dio necessario e bello è già dentro di me, è già
mio amico, è già compagno necessario, capace di farmi pregare, capace di farmi
sopportare, capace di darmi pace, sicurezza, capace di farmi sperare in un
paradiso aperto a tutti. Ebbene, questo senso di Dio, questo Dio personale,
questo Dio che sa far battere il cuore come l'amata, questo Dio deve certo
qualcosa alla Chiesa Cattolica. Se penso e sento questo Dio, in fondo lo devo a
tutti coloro che me ne hanno parlato, che mi hanno anche costretto -in certi
momenti- a pregarlo, che me l'hanno fatto presente.
Per questo, pur non comprendendo, non tradisco la mia Chiesa,
colei che mi ha battezzato, che ha convinto i miei genitori, che accoglie anche
me.
Molti sorrideranno a questo esito. Molti non capiranno. Molti
diranno che le mie fondamento sono aleatorie, illusorie, false. Mero
sentimentalismo, insomma. Senza supporto di ragione.
E come comportarsi quando la Chiesa impone le sue leggi, detta
obblighi morali?
44-continua
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