domenica 12 giugno 2016

Il mio Dio - 35

                                                                              ph carlozanzi


 Sabato 24 settembre 1994       6.05
     
 E' questione di un attimo. Se uno parte deciso, se uno trova le ragioni per essere credente e praticante, tutti i dubbi, tutte le remore vengono accantonate, in virtù della opzione fondamentale. Non che le perplessità non compaiano, ma vengono superate con vari artifici, perché se si lasciassero montare come panna questi dubbi, se non li si zittisse alla svelta, si sarebbe costretti a rivedere  tutto. A sospendere, ad esempio, lo slancio missionario, o catechetico, per concedersi una pausa -anche una lunga pausa- di riflessione. E, cosa davvero micidiale, la forza, la ragione, l'opzione che aveva permesso di trascurare i dubbi come mosche fastidiose non c'è più. Cede l'ancoraggio del perdono, della giustificazione, e tutto si complica, come sotto il condizionamento dell'ira (naturalmente non è uno stato iroso quello di colui che dubita) che se da un lato acceca, dall'altro permette di recuperare tutti i nodi, che s'incastrano nei denti del pettine. Un pettine con i denti particolarmente fitti. Nodi allora non ne passano più.
     Ho detto questo per descrivere, con povere parole, un po' la mia situazione, che è uno stato di immobilità, quasi di paralisi, perché gli ostacoli, prima saltati con stile discreto, oggi mi fanno continuamente cadere. E si vorrebbe infine cambiare strada, mollare tutto, nell'attesa di una luce (sperata ma in fondo nemmeno attesa) prendersi un po' di vacanza. Eppure una forza tenace ti tiene ancorato al vecchio, una forza che è somma di un'infinità di forze minori: il nuovo non è più convincente del vecchio, non si lascia una nave che fa acqua per una scialuppa di salvataggio, essa pure fallata. E poi ci sono fattori diciamo esogeni, esterni, che pure ti condizionano, e che possono addirittura essere letti come l'estremo baluardo di Dio, la testarda insistenza di un Dio che rispetta la tua libertà ma la provoca, la pungola, la raggira, la condiziona. Fattori esterni: i figli (che hanno bisogno, soprattutto se in giovane età, di esempi di coerenza e di comportamenti certi), gli amici, una ecclesia che ti ha accolto, nutrito, aiutato per decenni.
     Così in pratica non si sceglie, meglio, si sceglie di rimanere, non solo con Cristo, ma nella Chiesa cattolica romana.
     "Dove andremo, Signore?" Ma io purtroppo non posso aggiungere: "Tu solo hai parole di vita eterna..." Proprio perché il dubbio mi fa vedere che altre parole eterne corrono attraverso i tempi e i luoghi. Così vale il quesito sul dove fuggire, ma accostarsi alla Parola diventa una pena.
     E stiamo alla Parola. Ricordo assai bene il cammino. Dapprima la fiducia nella Parola, le letture, l'esegesi del sacerdote, della guida. E la lettura personale, e la voglia di capire attraverso la meditazione personale. E poi gli scambi di esperienza, a partire dalla Parola meditata. Se non si capiva c'era la fiducia nelle note della Bibbia, e più ancora nella spiegazione del don. Meditazione quotidiana, ricerca di intuire quella misteriosa voce, sforzo di perforare la corazza del Mistero. E poi dapprima la paura di esprimersi di fronte agli altri, di proporre frutti sterili di riflessione. Paura superata di mano in mano con l'allenamento, con la convizione di riuscire a proporre meditazioni non stupide, anche interessanti, sufficientemente profonde. Quindi la meditazione in qualche modo intaccata dal desiderio di far bella figura. Più che la voce misteriosa (e francamente non intuibile) ecco una macchia nera, la voglia di mostrarsi buoni esegeti. In buona fede, si capisce.
     Questo il percorso di anni, non aiutato -nella sua componente critica- dalla guida, troppo attenta a definire con certezza le proprie tesi, poco incline a proporle in forma dubitativa.
     Poi (o forse contemporaneamente, ma zittito da quella ragione superiore che ti fa superare i dubbi) le difficoltà proprio nei confronti della Parola. Difficoltà di varia natura. Una prima contraddizione: da un lato l'indicazione, sottolineata dal Magistero, ad approfondire, a compiere uno sforzo esegetico, per non far dire bufale a Dio. Dall'altro il tentativo di lasciar massima libertà, quasi a dire che la Parola dava i suoi frutti, indipendentemente dal retto interpretare. Libertà necessaria, perché se da un lato la Parola, rispetto al passato, si è fatta di più largo consumo (per dire così) dall'altro non può essere aprioristicamente negata a coloro che non possono far vanto di profonda capacità culturale...Un tempo il pastore leggeva e spiegava, ed era in pratica negata al povero laico l'accostarsi al Sacro testo della Bibbia. Il Concilio, aprendo la Parola a tutti, in primis ai laici cristiani, poneva necessariamente di fronte a questa nuova difficoltà, per il Magistero e per il credente.
     Quindi, ecco il quesito: quali i frutti divini della meditazione? Quelli raccolti dopo la semina della esegesi (una semina necessaria, per avere frutti) o quelli lasciati alla libertà di Dio?

35-continua
  


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