ph carlozanzi
Sabato 24 settembre 1994 6.05
E'
questione di un attimo. Se uno parte deciso, se uno trova le ragioni per essere
credente e praticante, tutti i dubbi, tutte le remore vengono accantonate, in
virtù della opzione fondamentale. Non che le perplessità non compaiano, ma
vengono superate con vari artifici, perché se si lasciassero montare come panna
questi dubbi, se non li si zittisse alla svelta, si sarebbe costretti a
rivedere tutto. A sospendere, ad
esempio, lo slancio missionario, o catechetico, per concedersi una pausa -anche
una lunga pausa- di riflessione. E, cosa davvero micidiale, la forza, la
ragione, l'opzione che aveva permesso di trascurare i dubbi come mosche fastidiose
non c'è più. Cede l'ancoraggio del perdono, della giustificazione, e tutto si
complica, come sotto il condizionamento dell'ira (naturalmente non è uno stato
iroso quello di colui che dubita) che se da un lato acceca, dall'altro permette
di recuperare tutti i nodi, che s'incastrano nei denti del pettine. Un pettine
con i denti particolarmente fitti. Nodi allora non ne passano più.
Ho
detto questo per descrivere, con povere parole, un po' la mia situazione, che è
uno stato di immobilità, quasi di paralisi, perché gli ostacoli, prima saltati
con stile discreto, oggi mi fanno continuamente cadere. E si vorrebbe infine
cambiare strada, mollare tutto, nell'attesa di una luce (sperata ma in fondo
nemmeno attesa) prendersi un po' di vacanza. Eppure una forza tenace ti tiene
ancorato al vecchio, una forza che è somma di un'infinità di forze minori: il
nuovo non è più convincente del vecchio, non si lascia una nave che fa acqua per
una scialuppa di salvataggio, essa pure fallata. E poi ci sono fattori diciamo
esogeni, esterni, che pure ti condizionano, e che possono addirittura essere
letti come l'estremo baluardo di Dio, la testarda insistenza di un Dio che
rispetta la tua libertà ma la provoca, la pungola, la raggira, la condiziona.
Fattori esterni: i figli (che hanno bisogno, soprattutto se in giovane età, di
esempi di coerenza e di comportamenti certi), gli amici, una ecclesia che ti ha
accolto, nutrito, aiutato per decenni.
Così
in pratica non si sceglie, meglio, si sceglie di rimanere, non solo con Cristo,
ma nella Chiesa cattolica romana.
"Dove andremo, Signore?" Ma io purtroppo non posso
aggiungere: "Tu solo hai parole di vita eterna..." Proprio perché il
dubbio mi fa vedere che altre parole eterne corrono attraverso i tempi e i
luoghi. Così vale il quesito sul dove fuggire, ma accostarsi alla Parola
diventa una pena.
E
stiamo alla Parola. Ricordo assai bene il cammino. Dapprima la fiducia nella
Parola, le letture, l'esegesi del sacerdote, della guida. E la lettura
personale, e la voglia di capire attraverso la meditazione personale. E poi gli
scambi di esperienza, a partire dalla Parola meditata. Se non si capiva c'era
la fiducia nelle note della Bibbia, e più ancora nella spiegazione del don.
Meditazione quotidiana, ricerca di intuire quella misteriosa voce, sforzo di
perforare la corazza del Mistero. E poi dapprima la paura di esprimersi di
fronte agli altri, di proporre frutti sterili di riflessione. Paura superata di
mano in mano con l'allenamento, con la convizione di riuscire a proporre
meditazioni non stupide, anche interessanti, sufficientemente profonde. Quindi
la meditazione in qualche modo intaccata dal desiderio di far bella figura. Più
che la voce misteriosa (e francamente non intuibile) ecco una macchia nera, la
voglia di mostrarsi buoni esegeti. In buona fede, si capisce.
Questo il percorso di anni, non aiutato -nella sua componente
critica- dalla guida, troppo attenta a definire con certezza le proprie tesi,
poco incline a proporle in forma dubitativa.
Poi (o forse contemporaneamente, ma zittito da quella ragione
superiore che ti fa superare i dubbi) le difficoltà proprio nei confronti della
Parola. Difficoltà di varia natura. Una prima contraddizione: da un lato
l'indicazione, sottolineata dal Magistero, ad approfondire, a compiere uno
sforzo esegetico, per non far dire bufale a Dio. Dall'altro il tentativo di
lasciar massima libertà, quasi a dire che la Parola dava i suoi frutti,
indipendentemente dal retto interpretare. Libertà necessaria, perché se da un
lato la Parola, rispetto al passato, si è fatta di più largo consumo (per dire
così) dall'altro non può essere aprioristicamente negata a coloro che non
possono far vanto di profonda capacità culturale...Un tempo il pastore leggeva
e spiegava, ed era in pratica negata al povero laico l'accostarsi al Sacro
testo della Bibbia. Il Concilio, aprendo la Parola a tutti, in primis ai laici
cristiani, poneva necessariamente di fronte a questa nuova difficoltà, per il Magistero
e per il credente.
Quindi, ecco il quesito: quali i frutti divini della
meditazione? Quelli raccolti dopo la semina della esegesi (una semina
necessaria, per avere frutti) o quelli lasciati alla libertà di Dio?
35-continua
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