Esplicito il mio attuale
atteggiamento: un poco la Parola la conosco, mi risuonano dentro (parlo sempre
dei Vangeli, che sento più vicino) alcune frasi forti (che definirei certissima Verba Christi) su quelle
credo di non poter avere dubbi. Se prima cavillavo e ci imbastivo un intervento
pubblico e una meditazione -che per la verità non mi faceva cambiare molto, ma
il tentativo e la volontà c'erano- ora risuonano in me solo questi grandi
princìpi, enunciati dal Maestro. Sono poi quelle verità, quegli imperativi
morali che ormai mi sono entrati nella pelle, che costituiscono il mio habitus.
A quarant’anni si può certo ribaltare del tutto, soprasotto, la propria vita.
Si possono certo rinnegare anche le fondamenta. Non è il mio caso, per ora. E allora
l'abitudine (ma anche il desiderio) di pregare, la consapevolezza che bisogna
amare il prossimo, che non bisogna essere egoisti, che bisogna spezzare il pane
con chi soffre, che bisogna essere umili, che non bisogna aggrapparsi al dio
denaro....che bisogna credere nella vita eterna, che bisogna amare la vita,
vedere Dio nella natura, nei piccoli...ecco, questo mi costituisce ormai (il
che non significa che faccia parte sempre anche delle mie scelte di campo). E
se penso a Cristo, se lo prego, non ho in mente versetti particolari, il passaggio
misterioso, che fa ammattire i teologi. Preferisco dire: quello è Mistero,
punto e stop. Cercare di spiegarlo è sforzo solo umano, che contraddice un poco
il nocciolo centrale, il fuoco della scelta di fede.
E il Magistero, come si colloca in questo cammino? Dio mio, come
è difficile leggersi dentro. E allora, prima di tornare sul discorso Magistero
(passaggio essenziale verso la cattolicità) devo metter giù un altro vissuto:
la necessità di non tradire la ragione, di non vendere all'ammasso la mia
libertà di pensiero.
Il punto è questo. So benissimo che basta una decisione, un atto
di volontà (fatto anche per vivere meglio, per tornare a poter essere
missionario, testimone del Cristo) per tornare ad una scelta già qui sulla
punta della lingua, e tutto cambia. Scelta che in fondo io ho rinnovato, giorno
dopo giorno, per anni. Di mano in mano che s'imponevano i dubbi, li scacciavo
al grido: -Ma io devo fidarmi della Chiesa, dei preti, della comunità...- Si
vive meglio, si ha un punto fermo, si ha un lieto annuncio anche da portare
agli altri. Oltre alle gratificazioni di una 'carriera' ecclesiale -che può far
piacere, in fondo il nostro vizio più recidivo è quello di voler apparire, di essere
considerati, apprezzati, stimati, seguiti, imitati...- vi è la gratificazione
interiore di una vita che ha una sua logica, un suo cerchio che si chiude, una
sua razionalità. Certo, fatta quella scelta di campo ci sono posizioni da
difendere ("dovete saper rendere ragione alla vostra fede"), e la difesa
appare indifendibile, la postazione vacilla sotto i colpi di grosso calibro
della critica diciamo illuministica. E allora si ingoia il rospo e si va
avanti.
Io cammino, oggi, da equilibrista, sul crinale. Respiro ancora
il vento cattolico, che sale da nord. Ed è un vento che mi fa anche bene,
fresco ma non rigido. Ho nostalgia di questo vento, mi è necessario, mi ha
sfiorato la pelle da quel primo luglio del 1956, data del mio santo battesimo.
Non capivo nulla, non apprezzavo il vento, ma lui mi lambiva le orecchie, mi
sollevava i radi e minuscoli fili di capelli. Sul crinale, dicevo, ma mi
attardo, non corro verso nord, lungo i prati che, lasciate le roccete, portano
ad essere missionari nella Chiesa santa, romana, cattolica e apostolica.
Ma
sul crinale arriva anche la brezza laica, brezza piacevole e non, brezza che
attrae e disgusta. E dal vento ateo
colgo la necessaità di non zittire, sempre e in ogni circostanza, le esigenze
di una libertà di pensiero, che vorrebbe essere meno condizionata da
imposizioni gerarchiche. Anche il pensiero, anche la libertà (di coscienza)
hanno leggi proprie, sono dentro di noi, ci appartengono. Mi parrebbe di
tradirle ancora una volta, se mi buttassi a capofitto nella testimonianza
cattolica.37-continua
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