Domenica 25 settembre
1994 6.10
Si
stava parlando della Parola. Ecco allora, con l'approfondimento (per me è stato
soprattutto in merito all'argomento della sofferenza e della morte, tema
essenziale che mi ha portato a leggere non pochi libri) la scoperta delle
diverse scuole esegetiche, delle diverse interpretazioni. Questo mi ha
disorientato, insinuando il sospetto che in fondo la verità ha a che spartire
con il libero arbitrio. Da qui quel senso profondo di relatività, che porta
gradatamente a mettere in dubbio la forza di questa Parola.
La Parola chiama giocoforza in causa il Magistero. Noi cattolici
cristiani diciamo che l'unico interprete autentico, quindi credibile, è il
Magistero. Al di là delle tante scuole teologiche, l'ultima parola è del
Magistero cattolico romano. Il teologo si pone, in fondo, con la sua dottrina,
con i suoi studi, al servizio del Magistero. Che in ultima analisi, forte anche
della tradizione della Chiesa, offre la corretta interpretazione.
Parola di fede, evidentemente. Scoglio arduo da doppiare.
Soprattutto quando, per esempio, un certo teologo o una certa teologia ti
convincono di più, ma il Magistero la pensa diversamente. Per me è stato, ad
esempio, sul problema della morte. Da qui l'impressione dell'inutilità di approfondire
un certo brano, di cavillare, di far seguire a tale lettura scelte pratiche,
scelte di vita. Perché dentro hai l'impressione che in fondo sia questione di
testa, di scuola.
La Parola, come risaputo, è molto più ampia di quella canonica.
E che dire degli Evangeli apocrifi, dei libri accettati (o rifiutati) dal
Magistero, rifiutati (o accettati) da altre confessioni? Anche qui è questione
di fede, bisognerebbe chinare il capo e fidarsi.
Una conoscente mi ha suggerito: lasciarsi fare da Dio, non
volere. Lasciarsi fare, lasciare che sia Lui a decidere per te, essere
strumenti nelle Sue mani, mettersi in secondo piano, lasciare a Lui il palco,
la scena. Va bene, ma la sceneggiatura chi la scrive? Il Magistero, la Chiesa
gerarchica. Sì, certo, perché largo ai laici, ma non ovviamente quando si tratta
di guidare con mano sicura, certa.
La Parola: grande, immenso Mistero. Adesso si torna a dire, come
cinquant’anni fa o anche meno, che è meglio interpretarla così com'è scritta,
quasi che la scoperta di un'esegesi che sapesse andare al di là, che sapesse
tener conto del contesto storico...(evento che ha rivoluzionato la storia
teologica, grazie principalmente ai protestanti tedeschi) fosse stato un
imperdonabile equivoco. Certo, per taluni il tentativo (reso possibile dal
calare la Parola nel contesto storico e letterario) di cercare unicità,
uniformità, intelleggibilità ad un Libro del tutto particolare, può essere
sembrata un'invasione di campo. Un pretendere troppo. Un umanizzare troppo. Uno
spiegare troppo. Spiegazioni che, per la verità, si sono avute. Certi brani,
certi libri hanno rivelato caratteristiche diverse, contenuti dissimili da
quelli per secoli tramandati. Ma non è che sia stato chiarito tutto.
L'esito, per me, è stato il non riuscire più a leggere la
Parola. Sono venute meno non solo la lettura magari quotidiana, ma anche la
fiducia che dall'approccio al Verbo scritto potesse scaturire luce per me.
36-continua
Credo che in qd caso come in tanti altri la questore nasca da un equivoco illuministico: per credere devo prima capire. Ma la fede non è la scienza. Dalla parola fede deriva fidarsi. Con ciò non voglio dire che bisogna rinunciare alla ragione che è costututiva del genere umano ma ammettere che la ragione non potrà mai spiegare tutto. Ad un certo punto bisogna arrendersi. Beati chi pur non avendo visto crederanno. Può essere dura lo so specie davanti al problema dei problemi cioè la morte ma non ci è data altra scelta.
RispondiElimina