Un pomeriggio in Salone Estense che rimarrà a lungo nella mia memoria, uno spazio privilegiato di amicizia.
Ecco il testo del mio intervento.
Sabato 24 marzo 2018 Salone Estense
Da Papà a tempo
pieno a nonno part-time: trent’anni di insuccessi
Mi piace iniziare questo incontro con le
parole di Pier Paolo Pasolini, con il suo inno alla sconfitta:
Penso sia
necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua
gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di
avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza
che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore
sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo.
In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.
In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.
Il mondo delle lettere, dei libri, delle
presentazioni di libri non ama molto questo genere di concetti. E’ un mondo che
frequento da 30 anni, che è molto diverso da una parte di me (sportiva,
pratica, concreta) eppure è un mondo che mi affascina. Oggi meno di un tempo,
per la verità. In questo mondo la parola insuccesso è proibita. Anche se le
sale sono semivuote, se i libri non si vendono, se un autore spesso deve
pagarsi in tutto o in parte il suo libro, qui il bicchiere è sempre mezzo
pieno. Auguro invece a questo mondo letterario una maggior sincerità, e sono
felice di considerarmi una voce stonata.
Però sono qui per parlare soprattutto
del mio insuccesso letterario. Fra virgolette. Posso affermare con convinzione
che dopo 30 anni di scrittura e una quarantina di libri pubblicati, sono un
autore di grande insuccesso, se per successo si intendono i libri venduti, i
soldi guadagnati e la fama. Appena fuori Varese nessuno mi conosce. E non è che
a Varese mi conoscano proprio tutti. Eppure il successo, questo successo, lo
cerco, l’ho cercato soprattutto all’inizio, quando la pubblicazione di PAPA’ A
TEMPO PIENO per una casa editrice di alto livello nel mondo cattolico mi ha
illuso. E l’ho cercato per molti anni, quando scrivevo di tutto, ma soprattutto
puntavo su romanzi e racconti e bussavo
alle porte delle grandi case editrice, ottenendo solo porte in faccia oppure
silenzio. Poi negli anni ho scoperto le mie reali capacità letterarie e il vero
volto di questo mondo di scrittori e di editori, e mi sono via via
ridimensionato, accontentandomi di pubblicare per editori locali, che non mi
facevano pagare la pubblicazione ma distribuivano
il libro solo in poche librerie, e non si curavano della promozione. Non ho
dati precisi, ma credo che il mio libro più venduto sia stato proprio il primo,
PAPA’ A TEMPO PIENO, distribuito in tutta Italia. Buone vendite anche per il
racconto per ragazzi LA SFIDA ELETTRONICA, pubblicato da SEI, altra casa
editrice di livello nazionale. Avrebbe potuto avere successo la biografia di
Roberto Maroni, pubblicato da Lativa e distribuita in tutta Italia da
Longanesi, ma è stato un mezzo flop, anche per colpa di Maroni, che nulla ha
fatto per promuoverlo, pur apprezzando questa sua biografia autorizzata. Per il
resto tirature intorno alle 200-300 copie, 100 libri venduti più o meno per
ogni titolo. Questo il mio trend. Oggi, grazie ai nuovi mezzi di stampa, si
possono ridurre notevolmente i costi, si possono tenere basse le tirature, con
gioia degli editori e tutto sommato anche degli autori.
Eppure ho messo insuccesso fra
virgolette perché davvero, per altri versi, mi sento un autore di successo,
dove il successo è il piacere che si prova nel progettare un libro (in alcuni
casi ho realizzato persino la copertina, poi per fortuna è arrivata mia figlia Valentina);
piacere nello scrivere un libro, nel presentare un libro, accorgendosi che
qualcuno ti legge e ti apprezza. Successo, cioè trasmettere le proprie idee e
le proprie emozioni, riuscire (nei molti libri di storia locale) a ricostruire
una vicenda, a dare valore, far rivivere personaggi dimenticati. Un libro (al
di là delle vendite) gratifica chi lo scrive, il proprio nome su una copertina
fa sempre piacere, il nostro narcisismo è appagato, il bisogno di comunicare è
soddisfatto. La mia introversione ha trovato nella scrittura uno sfogo, una
liberazione.
Penso ai tanti successi intimi, alle
differenti gratificazioni regalate dai diversi generi letterari che ho
affrontato, quasi tutti direi: come giornalista, come narratore, come poeta
dialettale e non, come biografo, come autore di storia locale, da undici anni
anche come blogger.
In una delle sue ultime lettere Piero
Chiara scrisse ad un amico: ‘…..Poi,
senza che avessi fatto nulla per meritarmelo, a cinquant’anni è venuto questo
dono dello scrivere, e questo successo, quale che sia…Di più sarebbe stupido
pretendere.’
Il dono dello scrivere in me l’ho
scoperto molto prima di Chiara, forse addirittura nei miei temi di quinta
elementare, e certamente dopo la morte di mia mamma, avevo 28 anni. E’ del 1984
il mio primo libretto pubblicato, non da un editore ma a livello casalingo,
grazie alla creatività tipografica di mia moglie Carla, che ringrazio,
distribuito solo ai parenti. E poi la grande emozione di Papà a tempo pieno,
nel 1988.
Sì, tutto sommato mi considero un autore
di successo, e la prova sta nel fatto che ancora amo scrivere, progettare nuovi
libri e nuove storie. E forse oggi è più bello degli inizi perché la
consapevolezza e le prove superate purificano le intenzioni, liberano da pesi
inutili e regalano una scrittura più sincera, più semplice, più comunicativa.
Ogni mio libro ha una cartelletta colorata, che contiene recensioni, foto,
lettere, manoscritti. In genere quando non so cosa fare apro l’armadio, prendo
una cartelletta e sfoglio il contenuto, rivivendo quel libro e quelle emozioni.
Rivivo le tante presentazioni in questa bella sala e in altre, che il Comune di
Varese mi ha sempre gentilmente concesso, dimostrando di apprezzare il mio
lavoro.
E veniamo al nuovo libro, che ovviamente
non è Nonno part-time, un fake book inventato per trovare un titolo ad effetto.
Certamente la mia esperienza di nonno si riverserà in pagine scritte, ma più
probabilmente in un romanzo o in racconti. E nella poesia. Qualcuna l’ho già
scritta. In effetti il titolo dell’incontro è fuorviante. Forse qualcuno qui in
sala è venuto pensando che parlassi delle mie esperienze di padre e di nonno,
dei miei insuccessi di padre e di nonno. No, quello è tutto un altro capitolo,
qui si parla di libri anche se nei miei libri, la mia vita familiare è molto
presente. Da sempre. E in effetti già nel 1994, nella sua prefazione alla mia
raccolta di racconti L’ULTIMO NEMICO, Mario Spinella parlava di Cronache
familiari di Carlo Zanzi. Scriveva: ‘….La
famiglia, infatti, i rapporti coniugali, ma soprattutto i figli, i bambini,
costituiscono una costante tematica largamente dominante…’
L’idea di questo libro è nata per via
della pensione imminente. Ho pensato che sarebbe stato bello lasciare un
ricordo scritto ai miei alunni. Quando si arriva a sessant’anni, alla fine
dell’esperienza lavorativa, e in generale quando si invecchia si ha timore che
la propria esperienza vada persa. Questa dispersione la si considera –con un
po’ di presunzione- uno svantaggio per i giovani, consapevoli che la lezione
degli anni è fondamentale. E può essere utile, anche se sappiamo bene: ciascuno
vuole fare la sua strada, a modo suo, cadendo, rialzandosi e imparando. Scritta
di getto questa parte dedicata ai miei alunni, ho pensato che avrei potuto
aggiungere una seconda parte per tutti, che sintetizzasse la mia lunga
esperienza di sportivo. Consigli molto pratici, una sorta di manuale alla
buona, di prontuario dello sportivo che desidera muoversi per la salute.
Mi permetto qui di anticipare le due
classiche domande, che si rivolgono a uno scrittore. La prima: in quale momento
della giornata scrive, ha dei luoghi particolari eccetera.
Un tempo scrivevo essenzialmente al
mattino presto, anche alle 5, alle 6…ho sempre amato alzarmi presto, inoltre la
presenza delle figlie piccole non mi lasciava molto altro tempo. Oggi è
diverso, in genere non scrivo mai dopo le 21, ma per il resto ho più libertà e
quindi scrivo anche al pomeriggio. Dove? Nel mio studio volante, che si sposta
fra la sala e la camera da letto, uno studio che è essenzialmente un pc
portatile, libri, fogli sparsi, macchina fotografica, biro, cuffie per la
musica. Per scrivere ho bisogno di una cosa soltanto: il silenzio. Non sono
certo lo scrittore nervoso e ansioso che fuma mentre scrive, che beve per
scrivere, che rigira le dita fra i capelli o si accarezza la testa rapata, che
va a scrivere nei bar, che furente strappa il foglio dalla macchina da
scrivere, lo appallottola e lo lancia nella stanza semibuia, nel cuore di una
notte sterile. Non mi dispero se la vena non arriva: faccio altro. Non scrivo per
mangiare, quindi sono un privilegiato. Dostoevskij e tanti altri non potevano
permettersi lunghi periodi di inattività.
Non riesco a lavorare a lungo su uno
stesso testo, devo continuamente variare. Scrivo direttamente sul pc, a parte
le poesie oppure brevi frasi, intuizioni, spunti. Naturalmente, come tutti gli
scrittori che si rispettino, ho dal 2005 il mio Moleskine nero. Cos’è? ‘E’ il
leggendario taccuino degli artisti e intellettuali europei degli ultimi due
secoli, da Van Gogh a Henri Matisse, dalle avanguardie storiche a Ernst
Hemingway. Compagno di viaggio tascabile e fidato, ha custodito schizzi, appunti,
storie e suggestioni prima che diventassero immagini famose o pagine di libri
amati…’
La seconda, immancabile domanda: Quali
sono i miei autori di riferimento?
Non sono mai stato un lettore accanito,
soprattutto in gioventù, quando avrei dovuto accumulare libri letti e invece ho
accumulato soprattutto sport. Diciamo che il liceo classico mi ha ‘obbligato’ a
leggere parecchio, e in quegli anni amavo particolarmente il Manzoni. Ho fatto
in terza liceo una tesina su Ignazio Silone, ho letto alcuni suoi libri, in
particolare L’avventura di un povero cristiano. Devo dire che oggi più di
allora mi ritrovo nelle sue parole, quando Silone si definisce ‘comunista senza
partito e cristiano senza Chiesa’. Sono per una lettura selettiva e
implacabile, nel senso che se un libro non mi piace lo abbandono, non arrivo
per forza sino alla fine, e non aspetto le canoniche 30-40-50 pagine per
rodare: deve prendermi subito. E oggi? Fra gli italiani certamente Piero
Chiara. Di lui ho letto quasi tutti i romanzi e i racconti. L’aver fatto parte
per 15 anni della giuria del Premio Chiara mi ha portato a leggere molti
racconti di autori italiani. E poi Mario Rigoni Stern, Primo Levi, Gino
Montesanto, il narratore che certamente ha avuto più di tutti parole per me
incoraggianti. Mi è piaciuto, recentemente, ‘Le otto montagne’ di Paolo
Cognetti. Per stare in ambito locale, Marta Morazzoni, Roberto Piumini, il
giovane Giorgio Fontana, davvero interessante, Silvio Raffo come poeta, mentre
come narratore ho amato solo ‘La voce della pietra’. Attendo da Riccardo Prando
altre prove, dopo il buon tentativo con la raccolta Giuda. Ho molti amici che
scrivono gialli ma non è il mio genere, quindi non mi esprimo su Laura Veroni,
sul mio ex alunno Sergio Cova, su Barbara
Zanetti, Angela Borghi, e non amo nemmeno il genere storico, anche se so che il
mio ex alunno Michele Gazo ha buone referenze. Sempre fra gli italiani non
varesini, Susanna Tamàro, Marco Vichi, Luca Ricci, Raffaele Crovi. Fra gli
stranieri, Gabriel Garcia Marquez, soprattutto anni fa Hermann Hesse, Irene
Nemirovsky. Fra i poeti, Leopardi su tutti, e fra i varesini Silvio Raffo e
Arnaldo Bianchi. Infine i poeti dialettali varesini, Speri Della Chiesa Jemoli
e Natale Gorini.
Non leggo per rilassarmi, per distrarmi,
per evadere. Per quello ho soprattutto lo sport e la musica. Leggo per trovare
consonanze con il mio vissuto, parole nuove che mi descrivano meglio di come
saprei fare io. Non leggo per sapere come andrà a finire. Sappiamo tutti come
andrà a finire. Leggo perché vorrei finirla il meglio possibile…o il meno
peggio.
I miei temi? Dio, la fede, la morte, la
famiglia, l’amore, le donne, il sesso, lo sport, la natura, la montagna più che
il mare.
Pensando ad un finale di questo mio
intervento non proprio banale, ho incontrato una bella frase di Isabel Allende:
‘Non esiste separazione definitiva finché
esiste il ricordo’
Già, il ricordo…e un libro, si sa,
sopravvive sempre al suo autore.
Scrivo libri anche per combattere la
tremenda paura di essere dimenticato, che è il terrore di tutti. Certo, si
viene ricordati soprattutto per il bene che si è fatto, per la nostra capacità
di amare e di regalare gioia agli altri, ma l’attenzione all’altro può arrivare
anche per il tramite di un racconto, di un romanzo, di una poesia. Naturalmente
mi auguro, fra trent’anni, di festeggiare con voi i miei primi sessant’anni di
scrittura ma ad ogni modo, volendo, già mi potrete incontrare fra una pagina e
l’altra, di riga in riga, di storia in storia.
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