lunedì 13 giugno 2016

Il mio Dio - 36

                                                                                                ph carlozanzi


Domenica 25 settembre 1994                         6.10

     Si stava parlando della Parola. Ecco allora, con l'approfondimento (per me è stato soprattutto in merito all'argomento della sofferenza e della morte, tema essenziale che mi ha portato a leggere non pochi libri) la scoperta delle diverse scuole esegetiche, delle diverse interpretazioni. Questo mi ha disorientato, insinuando il sospetto che in fondo la verità ha a che spartire con il libero arbitrio. Da qui quel senso profondo di relatività, che porta gradatamente a mettere in dubbio la forza di questa Parola.
     La Parola chiama giocoforza in causa il Magistero. Noi cattolici cristiani diciamo che l'unico interprete autentico, quindi credibile, è il Magistero. Al di là delle tante scuole teologiche, l'ultima parola è del Magistero cattolico romano. Il teologo si pone, in fondo, con la sua dottrina, con i suoi studi, al servizio del Magistero. Che in ultima analisi, forte anche della tradizione della Chiesa, offre la corretta interpretazione.
     Parola di fede, evidentemente. Scoglio arduo da doppiare. Soprattutto quando, per esempio, un certo teologo o una certa teologia ti convincono di più, ma il Magistero la pensa diversamente. Per me è stato, ad esempio, sul problema della morte. Da qui l'impressione dell'inutilità di approfondire un certo brano, di cavillare, di far seguire a tale lettura scelte pratiche, scelte di vita. Perché dentro hai l'impressione che in fondo sia questione di testa, di scuola.
     La Parola, come risaputo, è molto più ampia di quella canonica. E che dire degli Evangeli apocrifi, dei libri accettati (o rifiutati) dal Magistero, rifiutati (o accettati) da altre confessioni? Anche qui è questione di fede, bisognerebbe chinare il capo e fidarsi.
     Una conoscente mi ha suggerito: lasciarsi fare da Dio, non volere. Lasciarsi fare, lasciare che sia Lui a decidere per te, essere strumenti nelle Sue mani, mettersi in secondo piano, lasciare a Lui il palco, la scena. Va bene, ma la sceneggiatura chi la scrive? Il Magistero, la Chiesa gerarchica. Sì, certo, perché largo ai laici, ma non ovviamente quando si tratta di guidare con mano sicura, certa.
     La Parola: grande, immenso Mistero. Adesso si torna a dire, come cinquant’anni fa o anche meno, che è meglio interpretarla così com'è scritta, quasi che la scoperta di un'esegesi che sapesse andare al di là, che sapesse tener conto del contesto storico...(evento che ha rivoluzionato la storia teologica, grazie principalmente ai protestanti tedeschi) fosse stato un imperdonabile equivoco. Certo, per taluni il tentativo (reso possibile dal calare la Parola nel contesto storico e letterario) di cercare unicità, uniformità, intelleggibilità ad un Libro del tutto particolare, può essere sembrata un'invasione di campo. Un pretendere troppo. Un umanizzare troppo. Uno spiegare troppo. Spiegazioni che, per la verità, si sono avute. Certi brani, certi libri hanno rivelato caratteristiche diverse, contenuti dissimili da quelli per secoli tramandati. Ma non è che sia stato chiarito tutto.

     L'esito, per me, è stato il non riuscire più a leggere la Parola. Sono venute meno non solo la lettura magari quotidiana, ma anche la fiducia che dall'approccio al Verbo scritto potesse scaturire luce per me.

36-continua

1 commento:

  1. Credo che in qd caso come in tanti altri la questore nasca da un equivoco illuministico: per credere devo prima capire. Ma la fede non è la scienza. Dalla parola fede deriva fidarsi. Con ciò non voglio dire che bisogna rinunciare alla ragione che è costututiva del genere umano ma ammettere che la ragione non potrà mai spiegare tutto. Ad un certo punto bisogna arrendersi. Beati chi pur non avendo visto crederanno. Può essere dura lo so specie davanti al problema dei problemi cioè la morte ma non ci è data altra scelta.

    RispondiElimina