lunedì 20 giugno 2016

Il mio Dio - 43

                                                          ph carlozanzi

Giovedì 6 ottobre 1994                      6.10

        Stiamo ancora sulla riflessione di ieri. 'E' il cuore che sente Dio, non la ragione.' Questa era una frase che andava di moda vent’anni fa. Ero adolescente, anni di immaginette, di frasi scritte sul libretto delle Ore. Via il Dio della ragione, bisogna 'sentire’ Dio, innamorarsi di Dio, provare piacere per Lui...Dio, il nostro amante. Del resto anche nella Parola (pensiamo ai Salmi o al Cantico dei Cantici...) questo rapporto fra amante e amata è ricorrente. Ebbene, il mio cuore sente questo Dio, io mi sono innamorato del Dio che mi si presenta sotto le mentite spoglie della bellezza. Bellezza di natura, bellezza della nuova vita.
     Quanto, in questi dieci anni, mi hanno parlato di Dio le mie bambine. Quanto deve essere riconoscente alla loro bellezza, alla loro ingenuità, alle loro domande, alla loro spontaneità, ai loro sorrisi che ti coinvolgono dentro, che ti danno sicurezza, che ti convincono di essere stato utile. Ma quando le bimbe frignano, quando il loro esserci diventa oppressivo, ossessivo, motivo di profonda preoccupazione, di ansia, di notti insonni...ecco, lì il volto di Dio si appanna, va in frantumi come un oggetto di cristallo. In quegli attimi non solo ci si dimentica di lodare il Dio creatore, ma lo si può anche maledire. Certo non lo si avverte più come il Padre buono, ma piuttosto come quel Personaggio ipotetico costretto, Lui pure, a subìre l'irrazionalità e la scomodità dell'esistenza.
      Eppure c'è qualcuno che 'sente' Dio anche nel dolore, nel soffrire...Sì, sì, anch'io lo sento, in genere non Lo dimentico, ma cambia la prospettiva. Non più il Dio da lodare, da ringraziare, il Dio vicino, il Dio creatore di spazi e di oggetti che ci soddisfano a pieno, ma il Dio da implorare perché è un Dio che ci serve. Ci si sente inetti, impotenti, e allora ci serve Chi può ipoteticamente toglierci le castagne dal fuoco. Dio non lo dimentico nelle notti insonni, ci si rivolge a Lui per chiedere aiuto. E più il dolore avanza, più l'irrazionale mistero della piaga che si stende sul mondo e sulla vita si dilata, più la preghiera si fa intensa, necessaria. Dio, avvertito non già come l'autore più o meno responsabile di quello spazio scomodo, rugoso, inquietante, Dio pensato come un fratello, un padre costretto a subire, ma insieme capace di andare al di là delle cose, capace di un gesto di resurrezione, questo Dio e il suo nome salgono sulle mie labbra, in un pregare stentato, rabbioso.
     Quanta rabbia in me, di fronte alle immagini della miseria umana. Del bambino  nato mancante, portatore di infermità permanenti...Sì, è la rabbia il sentimento più certo. Rabbia per questo esubero di imperfezione, per la costrizione a dover portare una ferita, poi una cicatrice enorme, visibile. Vi sono paure che mi assalgono, forse addirittura superiori al pensiero della malattia per me, della morte per me. Mi terrorizza un'infermità permanente, soprattutto verso Carla, ma più ancora verso i miei figli. Il pensiero che possano soffrire, a lungo, che possano restare colpiti per la vita e che mi guardino, chiedendo una spiegazione decente a tanta assurdità, ecco, questa ipotesi (per nulla improbabile, tanto è vasta la nostra inefficienza) mi fa mancare l'aria. Devo ramazzarla via subito, perché non vivrei. E se è possibile in me, nella mia grettezza, un briciolo di compassione, questa è spesa anzitutto per quei genitori che passano per la mulattiera di questo monte calvario.
     In questo istante penso a Dio, e me lo immagino davvero come Padre, con gli occhi lucidi, con l'angoscia nel cuore, con la mano impotente, con la medicina inefficace, e con tanta rabbia nel cuore per non poter far nulla al presente se non, al futuro, l'immenso spazio aperto della resurrezione. Questo è il mio Dio, un Padre che sa piangere, che sa ammettere di non poter far nulla, se non l'offerta di una Sua presenza misteriosa, se non l'offerta di una promessa per il futuro.
     Mi è insopportabile il pensiero di un Dio che saggia, con il dolore, la nostra fedeltà, che ci punisce, che ci bastono per i peccati commessi. Mai crederei ad un Dio così!
     La bellezza è attributo divino. Sì, anche una bella donna, una donna armoniosa, ben fatta mi parla di Dio, mi avvicina a Lui. E' dell'armonia che abbiamo bisogno, per non disperderci nel caos. I nostri occhi vogliono la perfezione, tracce, riflessi di perfezione, grazie ai quali risalire ad un Autore inimitabile, ad un Creatore più in gamba di noi.  E il figlio è atto creativo che ci supera. E il capolavoro artistico ci fa cambiare appartamento, ci fa prendere l'ascensore, ci fa salire ai piani alti. Il brutto è sopportazione, incomprensione, domanda senza risposta; il limite ci invoglia alla repulsione.
     E' un Dio con tratti troppo umani? Diciamo, forse, che oggi come oggi credo più intensamente al Dio del sentimento che a quello della ragione. E  cerco di spiegarmi.
     'E' il cuore che sente Dio, non la ragione' si diceva. Ma prima colgo un altro pensiero, prima che evapori. Un attimo fa ho scritto: 'Mai crederei ad un Dio siffatto, ad un Dio che mi punisce per avere la controprova della mia fedeltà.' Oggi credo molto al Dio che soddisfa le mie aspettative. E qui sento già il coro: ma sei tu che devi soddisfare le Sue aspettative, non viceversa. Sei tu che devi chinare il capo, e dire: Obbedisco! Abbiamo scritto dentro di noi aspettative, desideri forti. Vi sono inclinazioni che ci paiono, che giudichiamo allettanti ma insieme 'cattive', altre che ci coinvolgono e che riteniamo, ad occhio, positive. E qui si colloca l'aspettativa di Dio. Per me sono: il piacere innato del bello, il desiderio di eternità. Tali aspettative o desideri o inclinazioni mi paiono universali. Ebbene, quando Dio mi si presenta sotto questa veste, io Lo sento possibile e grande, direi indispensabile. Amo Dio, perché soddisfa aspettative che mi sono trovato dentro.

     Poi c'è il Dio della Parola, il Dio che mi lascia un messaggio scritto, il Dio che mi dà indicazioni, obblighi, prescrizioni, divieti. Il Dio che, indipendentemente dal mio vissuto, si fa autorità, guida, maestro...Ecco qui il volto di Dio che, attualmente, per me, è più in ombra.

43-continua

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