giovedì 24 ottobre 2024

Grazie a Francesco Scaramozzino

 




Ho ricevuto oggi, assai gradita, questa recensione al mio romanzo 'Fuggiaschi', ad opera di Francesco Scaramozzino, recente vincitore del premio Chiara inediti, con la raccolta di racconti 'Il significato della Luna'. Lo ringrazio qui pubblicamente.




“FUGGIASCHI”

Nota di lettura

 

“Fuggiaschi”, romanzo di Carlo Zanzi pubblicato da Macchione editore, narra la storia di due famiglie, una lombarda, della provincia di Varese per la precisione, e l’altra marchigiana, della provincia di Macerata, accomunate da una sorte che ne tira i fili lungo un arco temporale che dalla pima guerra mondiale arriva fino agli anni Ottanta, nello specifico all’attentato a papa Giovanni Paolo Secondo del maggio dell’81.

Questa breve sinossi non deve però ingannare, perché non ci troviamo di fronte alla solita saga familiare, in cui la narrazione è pretesto per complesse analisi sociologiche spesso fini a sé stesse; la storia in questo romanzo resta invece sullo sfondo e a campeggiare sono i “dettagli”, quelli di cui la storia stessa si compone e di cui il romanzo intende, ostinatamente, conservare la memoria.

Generalmente, il concetto di fuga sottende quello di spazio, in particolare quello di uno spazio racchiuso fra due estremi: ciò da cui si fugge e ciò a cui si tende, l’uno pericolo incombente e l’altro luogo di riparo. La fuga che è al centro del romanzo e che muove le vite dei protagonisti, invece, si pone piuttosto come fuga nel tempo, quello della vita che scorre inesorabile, e che da un lato è storia, abbiamo detto, dall’altro è più semplicemente biografia. Il tempo del romanzo, infatti, è un tempo che, visto dall’alto delle generazioni e del loro susseguirsi, si sviluppa in modo diacronico da due punti quasi perfettamente simmetrici rispetto alle vicende dei protagonisti, il lombardo Mauro Lodi e il marchigiano Ennio Orazi: il punto costituito dai rispettivi genitori, Luigi e Giorgio, il primo del 1890, il secondo di qualche anno più giovane, del 1895, compagni al fronte della Grande Guerra e complici nella fuga rocambolesca quanto improbabile, ma alla fine riuscita, con cui il romanzo si apre; e il punto costituito dai rispettivi figli, Cristiano e Cristina, il primo nato nel 1956, la seconda il primo giorno di primavera del 1959, simbolicamente uniti nei nomi oltre che nelle vicende di una storia che, alla fine del libro, li vedrà uniti anche in matrimonio (oltre che nella comune fede a cui i nomi stessi – omen nominis - sembrano alludere).

L’elemento di forza del libro, che ne fonda l’originalità nel contesto di un genere letterario ricco di insidie, va però, a mio avviso, ricercato nella scelta stilistica effettuata dall’autore che, in una struttura congegnata nel modo descritto, articola con sapienza la narrazione intorno a brevi capitoletti, cinquantacinque in tutto, in cui la trama sembra snodarsi per successivi aggiornamenti, sorta di “trafiletti” di cronaca che della storia mantengono l’afflato, lo scorrere inesausto e fagocitante, e della cronaca, quasi in controcanto, il persistere ostinato e diligente del dato che non deve andare perduto.

Così il libro finisce per svelarsi al lettore come la parafrasi di una fuga che da fuga nello spazio diventa prima fuga “nel tempo”, e poi finalmente fuga “dal tempo”, quello che si chiude e si riapre come un respiro attraverso il flusso delle generazioni e che il romanzo cerca infatti di esorcizzare con un’attenzione perfino ossessiva ai dettagli e un ricco apparato di riferimenti simbolici.

L’attenzione ai dettagli, per niente condizionata dal periodare prevalentemente paratattico, si esprime nella scelta accurata dei vocaboli, oltre che nelle molte descrizioni minuziose che costellano la narrazione, e non è altro che il risvolto di quell’attenzione che l’autore intende riferire in modo preminente alla cronaca e al singolo che ne è protagonista, rispetto a una Storia (quella con la esse maiuscola) dove le vicende umanissime degli individui vengono spesso a perdersi in un significato complessivo che di umano conserva ben poco.

Questa scelta di fondo compiuta dall’autore è poi rafforzata dal ricorrere nel romanzo di molti riferimenti simbolici, che lo consegnano così a una dimensione più ampia, garantendogli al tempo stesso una valenza generale: dalla fascinazione per il volo che non dà pace a Mauro alla tormentata ricerca da parte di Ennio di una nuova casa, entrambe riverberi di quello stesso senso di fuga che è per loro destino e genealogia allo stesso tempo; dai molti, ricorrenti riferimenti toponomastici che fungono da viatico nei meandri fittissimi di questo originalissimo “spazio/tempo” in cui si dipana la trama del romanzo, fino alla scelta dei nomi dei due ragazzi ai quali il finale del libro consegna il compito di proseguirne la storia, abbozzando solo in controluce, quasi come un auspicio, le coordinate da seguire: Cristiano e Cristina, che il romanzo saluta sulla soglia della stanza in cui si abbracciano nella loro prima notte di nozze, con le parole di Alma e Renzo, lei del 1913, lui, “uomo fedele”, del 1907: “Beati loro”.

E così, come al volgere di un cerchio che si chiude, l’epilogo si ricongiunge al prologo con cui si apre il libro: “Alle tre della notte lei, nuda al suo fianco, ebbe un tremito a conferma che si era addormentata. Le sfiorò il seno caldo, sorrise nel buio, non sarebbe riuscito a prendere sonno, tornò a ritroso di un anno, di dieci, di venti e mentre la sua sposa respirava leggera, provò a comprendere la loro storia”.

 

Melzo, 24 ottobre 2024

 

Francesco Scaramozzino

 

 

  


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