Solo oggi sono venuto a conoscenza di questa bella recensione, scritta dalla giornalista di Crema Donata Ricci (foto in alto, dal suo profilo fb) per la rivista 'Late for the sky', relativa al concerto di Mock & Greg Harris del 4 aprile 2015 a Castelleone. Pongo rimedio oggi.
GREG HARRIS with MARCO ZANZI
Castelleone (CR) Associazione Culturale ALICE NELLA CITTA’
4 aprile 2015
Alla vigilia di Pasqua, in un
tranquillo borgo della Bassa intento alla messa di mezzanotte, si officia il
rito pagano di un concerto country rock. Riflettendoci bene, chiamarlo
“concerto” mi sembra riduttivo, piuttosto parlerei di una ben più articolata
“esperienza”. In tanti anni di bulimia live non mi era mai capitato di
assistere ad un coming out
esistenziale di siffatta portata: “Ciao,
sono Marco Zanzi. Due anni fa i medici mi avevano dato tre mesi di vita, ma
sono ancora qui. Voglio continuare a fare musica per non sprecare neanche un giorno”. Dritto al cuore,
inchiodandoci alle sedie. “Niente paura
– aggiunge Marco – è proprio in questi
due anni che ho vissuto veramente, sono diventato addirittura più creativo.
Perciò lo dico a tutti: non mollate e tirate fuori il meglio anche dalle
situazioni più drammatiche”. A riprova, si materializza una serata
assolutamente scevra di cupezza, bensì luminosa e frizzante.
Dopo il breve set acustico di
Marco, lo raggiunge sul palco Greg Harris e da qui in poi i due pards,
supportati dalla sezione ritmica, liberano chitarre, banjo e violino in una
rilettura appassionata del songbook country rock. Ora, non voglio tediarvi con
note biografiche che già conoscete, al massimo permettetemi di rinviarvi alle
due esaustive monografie di Paolo Crazy Carnevale (LFTS n. 119 e 120). Soltanto
due cose: Greg Harris, classe 1952, è un californiano di San Diego, poi trasferitosi
in Texas, che tuttavia si è lasciato adottare di buon grado dal nostro paese,
tanto è vero che il suo ultimo disco, Long
lonesome feelin, è stato pubblicato, giusto l’anno scorso, dalla milanese
Appaloosa Records; Marco Zanzi invece è un varesino innamorato del suono
americano, tanto da dividere la propria attività artistica tra il Nord Italia
ed il North Carolina. Quello che piace è che insieme danno vita al mirabile
incontro di due culture. Ma Greg è anche un pezzo di storia del West Coast
sound e ha militato in formazioni leggendarie, Byrds e Flying Burrito Brothers
su tutte, cosa che non gli dispiace affatto ricordare questa sera. La scaletta
infatti è da brivido e si apre con un inequivocabile The gilded palace of sin, brano che appartiene alla sua recente
produzione ma che mutua il titolo, con legittimo senso di appartenenza,
dall’opera prima dei FBB. “I was only
seventeen in 1969…” potrebbe essere il classico incipit di innumerevoli
storie personali. Qui introduce il racconto dell’ iniziazione musicale di Greg,
in cui ci possiamo ritrovare in molti: l’amico che ha comprato un disco con le sudate
mance, il primo febbricitante ascolto carbonaro nella sua cameretta, il big
bang emozionale conseguente ed è fatta: con la musica si dividerà more uxorio la vita intera. Del resto si
trattava di Sweetheart of the rodeo. Poi
si dispiega un ventaglio di canzoni talmente storiche da comporre un bignami
del country rock: Streets of Baltimore,
Hickory wind, My back pages, Orange blossom
special, Christine’s tune (Devil in
disguise), Can you fool e potrei continuare. I Byrds
incontrano Dylan, Johnny Cash viaggia nello stesso vagone dei FBB e pure gli
Allman ci saltano sopra in corsa. Ballate epocali cui ogni parola recherebbe
danno: ci siamo cresciuti insieme e tanto basta. Qua e là Greg colloca le proprie
ultime composizioni, di ampio respiro e molto gradevoli, come Long road to nowhere e The last of the great old country rockers.
Il suono si colora talvolta di bluegrass, talaltra di western swing. E quando
annuncia “It’s fiddle time!” scatena
il violino in un’entusiasmante interpretazione di Take a city bride, con l’approvazione di Gene Parsons. Quando tocca
a Marco, ci propone la sua bella Time to
start again (Time to fly again), titolo decisamente autobiografico che ci
sentiamo di condividere e di considerare il nostro augurio affettuoso a questo
valente musicista e valoroso combattente. E così, mentre Greg e Marco duettano
in totale sintonia, il pubblico resta catturato per l’intera, generosa, durata
di due ore e mezza. Sono mancate all’appello della mia personale setlist
soltanto due canzoni, curiosamente corrispondenti ad altrettanti luoghi
geografici: Colorado, composta da
Rick Roberts nel periodo FBB e Mexico,
sognante ballata cofirmata Greg Harris/Rick Danko. Ma può bastare il ricordo
della genesi di Mexico secondo il
racconto dei protagonisti: Greg, Rick (Danko) e Rick (Roberts) sono sul bus
durante il tour per il ventesimo anniversario dei Byrds, anni 80; uno di loro
abbozza un ritornello, gli altri si uniscono con le armonie e ne viene fuori
una ballata che profuma di “sweet tequila”
e “soft warm nights down in Mexico”.
Questa notte padana non è esattamente
una warm night, anzi è piuttosto
fredda. Uscendo dal locale di Alice nella
città (a proposito: un plauso a questi ragazzi che da anni portano la
cultura in provincia) già pregusto il tepore di casa. Allora un pensiero grato
va a Greg, a Marco e a tutti quei musicisti di nicchia che battono circoli e
teatrini fuorimano, macinando asfalto e appoggiando custodie in camere
d’albergo sempre diverse, eppure sempre uguali. Non è certo una novità: spesso
i migliori concerti, quelli che sanno offrire non soltanto buona musica, ma anche
esperienze, rivelazioni, epifanie, quelli dove puoi fare la conoscenza dei musicisti
e chiacchierarci come fossero vecchi amici, ecco, i concerti di questo genere
sono estranei al circuito delle grandi agenzie di promozione. Viaggiano
sottotraccia e si sostengono sul passaparola. Ma poi ogni sera si attacca il
jack e si compie un altro piccolo miracolo.
Donata Ricci
Nessun commento:
Posta un commento