Non
bisognerebbe dare troppa enfasi alla morte di un gatto. Muoiono bimbi di fame,
annegati, strazio incommensurabile. Un gatto è un gatto. Un animale, al servizio
dell’uomo. Ma quando muore il tuo gatto un po’ soffri, anche a non volerlo. Amelie è arrivata nella nostra casa nell’ottobre del
2005: era lunga come una piastrella della cucina. Ci è rimasta sino ad oggi, 11
anni. Stava sempre in casa, per nostra scelta, ma non aveva perso la sua indole
felina e selvatica. Non era una gatta affettuosa, non si faceva accarezzare, ci
ha distrutto un divano e altre parti della casa. Però le abbiamo voluto bene. A
me, più spesso in casa, toccava accudirla: anche per questo mi veniva spontaneo
difenderla, quando era accusata (non ingiustamente) di dolo. Negli ultimi tempi,
quando ha sentito crescere il male, si è fatta più quieta, più disposta alle
coccole, meno scontrosa. Oggi, nel tardo pomeriggio, l’ho portata dal mio amico
veterinario Giuseppe detto Dino: il male era incurabile, leggevo nei suoi occhi
troppa sofferenza. Agli animali l’eutanasia è concessa. Una puntura, Amelie si
è addormentata. Non sono rimasto per la seconda puntura.
Benché possa apparire
esagerato, questa casa stasera è più vuota.
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