Centinaia
di persone, soprattutto giovani, questo pomeriggio si sono sedute sulle tribune
del Palazzetto dello Sport, e il tifo era solo per lui: Paolo. Un palloncino
rosso con la scritta ‘Ti amo’ dava l’idea che il ragazzo stesse già volando.
Fiori, palloni da basket, magliette della Pallacanestro Varese, firme, una
foto, le parole di papà Giuseppe e di mamma Daniela, riservate a questo loro figlio dalla grande
sensibilità, capace soprattutto nei dieci mesi della malattia di diventare
adulto. “Si sono ribaltate le parti” ha detto papà Giuseppe. “Sono i genitori
che dovrebbero educare i figli, dare loro l’esempio, qui è stato Paolo, il mio
eroe, ad insegnarmi il coraggio.” Una testimonianza che ha segnato anzitutto
chi gli è stato più vicino (i genitori, il fratello, le sorelle, la sua
ragazza), ma anche tutti quelli che hanno, poco o tanto, incontrato la sua
storia. Poi altre parole, lette dai suoi
amici, e poesie scritte dal diciottenne che ha saputo sopportare il peggio
della vita: un male incurabile, cure debilitanti, dolore, paura.
Che
dire? Nel breve periodo per me è la seconda testimonianza di qualcuno che sa
vivere la sofferenza con grande dignità, vincendo la battaglia più dura: mio
fratello Mock e Paolo. Con Mock ho potuto ‘respirare’ la sua vicenda
incredibile, con Paolo no, ma mi fido di chi gli è stato accanto. E porto con
me il rimpianto per non aver valorizzato al top (forse nemmeno capito nel
profondo) Paolo nei suoi anni alla Vidoletti. Da me si meritava il massimo.
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