martedì 1 marzo 2016

La mia scrittura - 46




Purtroppo l’inizio del 1996 è segnato anche da un episodio assai istruttivo ma piuttosto ansiogeno, legato alla mia scrittura giornalistica, al mio eccessivo zelo e forse anche al mio eccesso di protagonismo. In quella primavera, dopo quattro anni di cronache del Consiglio comunale, mi ero reso conto che tali cronache difettavano di tutti i retroscena (importanti per la vita politico-amministrativa) che non potevo scrivere, perché non conoscevo ma anche perché, conoscendoli, non avrei potuto scriverne. Esprimevo quel senso di inutilità in una lettera al direttore, pubblicata dai principali giornali varesini. Noi giornalisti, allora, sedevamo alle spalle del tavolo della giunta e proprio dietro i funzionari comunali. Poi quella posizione fu mutata. Una posizione che ci permetteva di sentire anche le battute, le mezze verità, dalle quali si deduceva che (ad esempio la discussione sul Piano Regolatore Generale) non era cambiato molto rispetto a  certe abitudini, eredità della vecchia politica presumibilmente spazzate via da tangentopoli. Andai anche a parlare di questa mia delusione di giornalista inutile ad un programma televisivo di Rete 55, intervistato dall’amico Franco Ferraro. Poiché nella mia lettera si faceva esplicito riferimento al Piano Regolatore Generale, in discussione in quegli anni, argomento delicato e decisivo, il sindaco Raimondo Fassa consegnò gli articoli di giornale al PM Agostino Abate, che mi chiamò come teste, a giustificare le mie affermazioni scritte: quali cose certe sapevo, cos’era ‘sta storia dei vecchi metodi eccetera. Fu la prima (e spero unica) volta che mi trovai seduto davanti, sebbene solo come teste, ad un PM, niente affatto conciliante, luce sparata negli occhi, telecamera a registrare le mie parole, ‘mani due spugne e salivazione azzerata’ dirette Fantozzi. Una brutta ma istruttiva esperienza: verba volant, scripta manent. 

46-continua  



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