Purtroppo
l’inizio del 1996 è segnato anche da un episodio assai istruttivo ma piuttosto
ansiogeno, legato alla mia scrittura giornalistica, al mio eccessivo zelo e forse
anche al mio eccesso di protagonismo. In quella primavera, dopo quattro anni di
cronache del Consiglio comunale, mi ero reso conto che tali cronache
difettavano di tutti i retroscena (importanti per la vita politico-amministrativa)
che non potevo scrivere, perché non conoscevo ma anche perché, conoscendoli,
non avrei potuto scriverne. Esprimevo quel senso di inutilità in una lettera al
direttore, pubblicata dai principali giornali varesini. Noi giornalisti,
allora, sedevamo alle spalle del tavolo della giunta e proprio dietro i
funzionari comunali. Poi quella posizione fu mutata. Una posizione che ci
permetteva di sentire anche le battute, le mezze verità, dalle quali si
deduceva che (ad esempio la discussione sul Piano Regolatore Generale) non era
cambiato molto rispetto a certe
abitudini, eredità della vecchia politica presumibilmente spazzate via da tangentopoli.
Andai anche a parlare di questa mia delusione di giornalista inutile ad un
programma televisivo di Rete 55, intervistato dall’amico Franco Ferraro. Poiché
nella mia lettera si faceva esplicito riferimento al Piano Regolatore Generale,
in discussione in quegli anni, argomento delicato e decisivo, il sindaco
Raimondo Fassa consegnò gli articoli di giornale al PM Agostino Abate, che mi
chiamò come teste, a giustificare le mie affermazioni scritte: quali cose certe
sapevo, cos’era ‘sta storia dei vecchi metodi eccetera. Fu la prima (e spero
unica) volta che mi trovai seduto davanti, sebbene solo come teste, ad un PM,
niente affatto conciliante, luce sparata negli occhi, telecamera a registrare
le mie parole, ‘mani due spugne e salivazione azzerata’ dirette Fantozzi. Una
brutta ma istruttiva esperienza: verba volant, scripta manent.
46-continua
46-continua
Nessun commento:
Posta un commento