VAI
CHE TI SEGUO
di carlozanzi
“Vai
che ti seguo” le disse.
E
lei: “Non sei obbligato.”
E
lui: “Lo so…vai, vai…”
“Perché
non ti compri un gelato e ti siedi…”
“Vai
tranquilla..ti seguo.”
“Come
vuoi” ed entrò nel negozio. E lui dietro, ad un paio di metri, strisciando i
piedi. Il suo ingresso fu luce abbagliante, aria pregna d’anidride carbonica,
spazi angusti, gradevole musica di sottofondo e donne d’ogni età che
soppesavano, accarezzavano, provavano davanti allo specchio l’effetto che fa.
Si
appoggiò ad una colonna, in posizione strategia, mentre lei si era già persa
nella sua distrazione da shopping. Dal suo osservatorio vedeva buona parte del
locale. Davanti a lui uno specchio che rifletteva la sua malavoglia. Lentamente, come assopito dentro un mestiere che non gli
apparteneva, si aggrovigliò nei soliti pensieri. Non capiva tutto quell’entusiasmo
femminile per vestiti che, nella maggior parte dei casi, non avrebbero regalato
nulla a chi li indossava.
‘Quella’
pensò ‘mi vuoi dire quella donna che avrà sessantacinque anni, con quei capelli
tinti da paura e l’ingombro di almeno venti chili in avanzo, dove mai potrà
andare con quella camicetta che tiene in mano come un tesoro? Ora si specchia,
possibile che non veda? Che non noti? Che non deponga all’istante? E intanto
lanciò uno sguardo verso lo specchio che gli stava di fronte, trovandosi agli
antipodi di quella cliente. Le donne con i vestiti sottobraccio s’affollavano
ai camerini, entravano, provavano, uscivano per lo più deluse, deponevano, si
indirizzavano immancabilmente alla casa. Sentì dire da una signora sulla quarantina
alla commessa: “Su di lei stava una meraviglia, su di me….” Ed era veramente
afflitta, nonostante le parole rassicuranti della giovane.
Madri
che consigliavano figlie, figlie che sbuffavano contro le madri, ragazze da
sole, in coppie, a gruppetti, ragazze con ragazzi distratti, commesse accaldate
che transitavano a passo veloce, profetesse del rito ininterrotto della
bellezza sperata, ricercata entro stoffe sgargianti o pallide, trasparenti o
coprenti, rivelanti, fascianti, abbondanti entro corpi esili, aderenti entro
corpi sformati.
Si
sentì superiore, distante, distaccato, il solo capace di giudicare, lì dentro,
tanto perdita di tempo e di denaro, sogni affidati ad un pantalone, ad una
gonna, ad uno stivale.
Una
commessa raccolse un omino e sbuffò, un’altra cercò di piegare una pila di
maglioncini in cachemire, con lo sconforto di chi sa che dovrà ripetere quell’operazione
all’infinito.
“Visto
niente che ti interessa?” disse lei, avvicinandosi come un venditore di merce
sulla spiaggia.
Si
sforzò di rispondere con educazione: “Grazie, no, sai che sono un tipo
esigente.”
“Contento
tu. Vado ai camerini, mi dai un parere?”
“Subito”
rispose con occhi furbi. “Vai che arrivo.”
Fece
per scollarsi dall’appoggio di cemento ma ricadde nelle distrazioni: le
commesse, giovani, belle perché stupefacente era la loro età, che aggrazia,
promette, è vellutata; una in particolare, alta quel giusto, né grassa né magra
né eccessiva né mancante. La perse di vista, inghiottita da un separè.
Si
mosse e venne attratto dalla sua figura, stampata nello specchio. ‘Ammesso pure
che slanci’ pensò ‘direi che sono in forma. Cosa mi manca? A che mi servono
abiti nuovi, anche in saldo del cinquanta per cento? Non mi bastano questi
jeans, che mi metto addosso da dieci anni?’
Un
altro passo, per verificare altri paragrafi della sua vanità, quindi un tocco
da dietro, che lo obbligò a guardarsi alle spalle. Era la sua commessa
preferita. Pensava l’avesse sfiorato nella foga di farsi largo fra i clienti,
si attendeva uno “Scusi” ma arrivò un’incudine sull’alluce: “Lo sa che lei è un
vecchio stronzo?”
Trasalì,
si sentì smarrito e fuori luogo. Quella bella giovane ce l’aveva sicuramente
con lui. E rincarò, notata la sua sorpresa: “Sì, lei. Ce l’ha stampato in
faccia a cosa pensa.”
“E
cioè?”
“Ma
si vergogni!”
“Di
che?”
“Della
sua ossessione per il corpo.” Faceva discorsi da suora, da matura professoressa
di buone maniere. Mai li avrebbe attesi da quella bocca di rosa. E come aveva
fatto a tradurre i suoi pensieri?
“Quella
signora un po’ in carne, ad esempio” e sollevò appena il mento, per indicarla
“che lei, anzi, ti do del tu, vecchio rincoglionito, che tu hai deriso per il
suo desiderio di abbellirsi con un abito, vale molto, molto, molto” e intanto
s’arrossiva in volto e sudava “molto e ancora molto più di te, che credi di
essere bello ma fai pena.”
Ebbe
un moto di ribellione, avrebbe voluto risponderle: “Ora ti sculaccio” ma volle
fare onore alla sincerità.
“Guarda,
mia cara” disse a voce controllata “ti devo fare i complimenti. Hai visto
giusto. Non so come hai fatto ma ci hai azzeccato. Sono una cacca” e allungò la
mano, prese la sua e si inchinò in un baciamani d’altri tempi.
“Ma
che stai facendo” disse sua moglie, vedendolo inchinato davanti allo specchio,
con il braccio destro allungato, intento a baciare l’aria. “Stai bene?”
Stranito
si rimise dritto, la guardò con sorpresa, finse noncuranza, sparò la prima cosa
che gli venne in mente: “No, no…mi era caduto…”
“Caduto
che?”
Avrebbe
dovuto rispondere ‘Niente, ho le idee confuse’ ma disse “Dai, su, andiamo,
fammi vedere come sei bella.”
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