....Si sedette. Si
senti all’improvviso stanchissimo. Scoppiò la fatica di molte ore di lavoro. Ma
forse era una fatica più profonda, una delusione che gli stava tarlando l’anima.
La testa pesante
gli cadde sulle mani. Pianse. Si sentì tradito. Nel luogo del dolore, della
sconfitta risentì il lamento del Cristo in croce: perché mi hai abbandonato? Il
crocifisso lo chiedeva a suo Padre, a Colui che avrebbe dovuto amarlo più di
ogni altro.
Erano tutte
castronerie. Era un’invenzione. Ecco che tornava il dubbio atroce. Sempre così.
Negli spazi di euforia Dio era inconfutabile. Nel dolore del mondo, nel gemito
dei corpi feriti Dio si faceva necessaria trovata dell’uomo. Sempre così, ma
don Marco sapeva come fare per liberarsi da quel sospetto lancinante. Era in
grado anche di giustificarlo, di fronte ai fedeli, lui sul pulpito, con il
Vangelo all’ambone, davanti, scritto a grossi caratteri, perché non ci si
potesse confondere con altre parole divine. Sapeva trovare la strada teologica,
biblica, filosofica e –se era il caso, a seconda di chi stava ascoltando- anche
parole semplici per garantire la protezione di un Padre amorevole. E in ogni
caso restava l’ultimo approdo, la resurrezione. La via d’uscita era comunque
assicurata. Bisognava crederci: se no, che fede sarebbe stata senza
quell’esito? Lo diceva San Paolo, uno che dopo aver tradito aveva scoperto la
verità, che aveva saggiato l’altra versione della vita, quindi non poteva avere
rimpianti.
Dalla luce
dell’uscio saliva l’odore della tragedia. Freddo, parole, terra e polvere,
pianti e gli ordini precisi del tenente colonnello dei Carabinieri, che aveva
visto arrivare con la camionetta. Don Marco provò a scrollarsi la testa: per svegliarsi
da un incubo, per cercare di mettere in ordine i pensieri come si fa col
setaccio, separare il buono dallo scarto, mondare la verità dalle bugie.......
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