sabato 6 agosto 2016

Passo Stelvio in bici

                                                                                                          ph cibi


Sabato 6 agosto 2016 – In bici al Passo dello Stelvio da Prato Stelvio


Non ci tornavo dal settembre del 1979. Avevo 23 anni allora. Voglio risalire in bici allo Stelvio, dalla parte più dura, da Prato: sono 24.5 km di salita, quasi 2000 metri di dislivello. Non sono allenato per salite oltre l’ora ma si va. In qualche modo si arriverà in cima. Ho due tempi di riferimento, il mio due ore e 20 minuti del 1979 (con zaino in spalla e la prospettiva di pedalare sino a Varese, totale 250 km) e quello del mio amico Sauro che nel 2009, alla mia età, 60 anni, ci impiegò due ore e 24 minuti. Ma mi interessa soprattutto godermi quelle ore. Forse, qui, non ci tornerò più. La partenza è dolce, la tentazione è di pedalare gagliardo, di guadagnare minuti, ma so che devo trattenermi. Ho corso le maratone, so cosa significhi distribuire lo sforzo. Sulla mia destra il rio Solda rumoreggia, carico d’acqua grigiastra. Sono ben coperto, si va alla grande, tutto è magico. Sole e ombra, sorpasso un amico in bici, è giovane, forse devo rallentare ma vado già coi freni tirati. A Ponte allo Stelvio passo in 16 minuti e 30 secondi, ora il torrente è alla mia sinistra, la salita si fa più importante. Uno strappo e siamo a Gomagoi, vado a destra, punto a Trafoi, patria del grande Gustav Thoeni. E ci arrivo dopo 46 minuti e 20 secondi. So che ora mi attendono 6 km nel bosco, i più duri, secondi alcuni. Non sono per nulla stanco, vado alla grande, sorpasso ciclisti anche più giovani di me, mi paiono sin troppo prudenti, qualcuno già sbuffa, li saluto, mi guardano come per dire: ‘Chi è questo gasato? Alla fine la pagherà…’ Molti sono stranieri. Alla fine ne avrò superati 27 (di cui 5 donne) e verrò superato da uno soltanto. So che fuori Trafoi c’è l’albergo Bellavista di re Gustav. Eccolo, alla mia sinistra, tornante secco sulla destra, con la coda dell’occhio vedo un tizio che sta entrando in una legnaia: è proprio lui, Thoeni. No, non mi fermo, non spezzo il ritmo, e non riesco neppure a salutarlo, lui scompare e io pedalo. Il sole ora scalda troppo, vorrei togliermi i guanti e la sciarpa ma non saprei dove metterli, la strada si impenna, sole e ombra, il mio terreno preferito, strada stretta, tornanti, per fortuna poche auto. Il mio amico Sauro mi aveva detto: ‘Occhio ai tornanti numero 31-32-33-34….Lì sono andato in crisi…’ Sono a quel punto. E allora sto attento..no, niente crisi per me, la fatica lentamente mi intossica, devo usare i miei due rapporti più leggeri ma tutto va come deve andare. Vengo sorpassato da un magrettino che fila alla grande (sarà il solo a farlo), lo lascio andare. Il bosco si sfoltisce, la vegetazione è sempre più bassa, i pini sempre più radi….ormai sono fuori…il peggio è andato, così mi hanno detto. Sulla mia sinistra la meraviglia delle cime oltre i tremila: Trafoier Eiswand, Zebrù, Gran Zebrù, Cime di Campo. Davanti a me il muro con i tornanti finali. Fa caldo e la stanchezza non è più solo una aspettativa. Ma è una stanchezza buona, accettabile. Al tornante 26 guardo il crono: un’ora e 40 minuti. Non ho idea di quanti chilometri abbia lì davanti, immagino tre o quattro. Dai che ce la si fa. Poco dopo una scritta malandrina a terra, con la vernice: 6 km. No, è uno sbaglio, uno scherzo….Avrei detto non dico la metà ma quasi. Ho un attimo di smarrimento, la maglietta ‘Time to fly again’ mi rincuora, mio fratello Marco, nell’anniversario della sua more, è sempre con me. Lo è tutti i giorni, ma oggi ancora di più, nella testardaggine di voler salire in bici lassù. Faccio due conti: se davvero mancano 6 km, Sauro mi ha già stracciato. E si va avanti. Ora il traffico di auto e moto è in aumento, infastidisce ma la fatica distrae. Arriva la scritta dei 5 km, poi dei 4. Allora è tutto vero. Il cuore regge bene, sono le gambe che tremano un poco. Da seduto pedalo con il rapporto più agile (30-25), se mi metto sui pedali uso il penultimo (30-24). La fatica degli altri, che viaggiano persino più lenti di me e che riesco a superare, mi dà coraggio. E’ una lenta invasione quella volontaria sofferenza verso la cima. Solo un paio di volte vorrei mettere giù il piede, ma la ‘bestemmia’ viene trattenuta in gola. E si va avanti….3 km, poi leggo 2,5..poi 2….poi 1,5…ultimo chilometro….Ho fatto bene a tenere sciarpa e guanti, ora l’aria è fredda, il sudore diventa ghiaccio…ma ormai ci siamo….500 metri…auto, moto, ciclisti….la ressa di uno dei Passi carrozzabili più alti d’Europa (mi pare il terzo), Cima Coppi di tanti Giri d’Italia..davanti a me pedala un tizio con la maglia rosa, sì, sono al Giro, ora supero la maglia Rosa..non, non ci riesco….scollinamento, fermo il crono, so che mi deluderà. Infatti: due ore, 33 minuti, 7 secondi. Eppure sono felice. Foto di rito, mi copro alla grande e giù in picchiata verso Bormio. E’ fatta anche questa. Lo racconterò ai nipoti. Oppure, volendo, potranno leggerlo.





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