giovedì 28 dicembre 2017

Natale +3




La storia di Luca, giovane di 26 anni morto in moto lo scorso gennaio, non per colpa sua, è ben nota ai varesini e ha inciso nel profondo, come ogni morte giovane. Conosco il padre Marco, più o meno la mia età e alcune passioni comuni, soprattutto lo sport, la montagna. Conosco la madre Loredana, faceva ginnastica artistica con me alla Varesina. E conosco di vista i due fratelli di Luca, Pietro e Matteo. Una famiglia per alcuni aspetti come la mia: tre figli, il padre prof di ginnastica..e anche la madre…gente sportiva. Non sapevo invece che Marco sapesse scrivere, o forse non lo sapeva nemmeno lui e la scrittura gli è nata dentro come bisogno, dopo quel tragico volo. Ho fra le mani un libro scritto da lui, Marco Antonetti, che mi hanno regalato per Natale: ‘Luchino mio...’ Marco, a caldo, ha trovato nella scrittura uno sfogo, una liberazione, una necessità. Parole ben scritte ma soprattutto nate di getto, vere, anche dure, sincere, senza sfumature, che non tralasciano nulla di ciò che un padre può provare in quei momenti che nessun padre vorrebbe (e dovrebbe) vivere nella sua vita di genitore. Un figlio non deve MAI morire prima di un genitore, ma succede. Uno dei tanti misteri di questa vita stupenda e drammatica. Marco, “bastardo nella fede” (cioè credente in Dio ma a modo suo, e in questo mi ci ritrovo assai) trova nella fede nuova una via di salvezza. In fondo non ci sono che due vie, di fronte al peggio del peggio: aggrapparsi a qualcosa o a Qualcuno, o lasciarsi morire, finire di vivere. Marco si aggrappa a Dio e lì ritrova il suo Luca ancora in vita, trova il modo di raccontare a tutti chi era Luca, un giovane pieno di vita e credente, trova la speranza per andare avanti. Non è la prima volta che noto reazioni differenti (di fronte allo stesso dramma) fra padre e madre. Le madri più facilmente si chiudono in un dolore infinito, non hanno parole se non lacrime, ritengono che mostrare anche un minimo di serenità sia fare un torto al figlio morto, mentre i padri reagiscono nel fare, nel fare memoria del figlio, scrivono libri, organizzano eventi. Marco ha scelto questa seconda via. Un diario che sanguina lacrime e dolore in ogni riga, che descrive persino nelle sensazioni fisiche ciò che realmente prova un padre di fronte al figlio disteso in obitorio, “con il volto sanguinante e il cranio fracassato”.

Sono a metà del libro ma ho voluto parlarne da subito. Non è un libro che ha bisogno di attendere il finale, non è un romanzo. Purtroppo non è finzione. Purtroppo perché Luca è morto, ma Marco ci fa capire che si può continuare a vivere e a credere in un Padre, nonostante il più atroce dei lutti.   

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