La storia di Luca, giovane
di 26 anni morto in moto lo scorso gennaio, non per colpa sua, è ben nota ai
varesini e ha inciso nel profondo, come ogni morte giovane. Conosco il padre Marco,
più o meno la mia età e alcune passioni comuni, soprattutto lo sport, la
montagna. Conosco la madre Loredana, faceva ginnastica artistica con me alla
Varesina. E conosco di vista i due fratelli di Luca, Pietro e Matteo. Una
famiglia per alcuni aspetti come la mia: tre figli, il padre prof di
ginnastica..e anche la madre…gente sportiva. Non sapevo invece che Marco
sapesse scrivere, o forse non lo sapeva nemmeno lui e la scrittura gli è nata
dentro come bisogno, dopo quel tragico volo. Ho fra le mani un libro scritto da
lui, Marco Antonetti, che mi hanno regalato per Natale: ‘Luchino mio...’ Marco,
a caldo, ha trovato nella scrittura uno sfogo, una liberazione, una necessità.
Parole ben scritte ma soprattutto nate di getto, vere, anche dure, sincere,
senza sfumature, che non tralasciano nulla di ciò che un padre può provare in
quei momenti che nessun padre vorrebbe (e dovrebbe) vivere nella sua vita di
genitore. Un figlio non deve MAI morire prima di un genitore, ma succede. Uno
dei tanti misteri di questa vita stupenda e drammatica. Marco, “bastardo nella
fede” (cioè credente in Dio ma a modo suo, e in questo mi ci ritrovo assai) trova
nella fede nuova una via di salvezza. In fondo non ci sono che due vie, di
fronte al peggio del peggio: aggrapparsi a qualcosa o a Qualcuno, o lasciarsi
morire, finire di vivere. Marco si aggrappa a Dio e lì ritrova il suo Luca
ancora in vita, trova il modo di raccontare a tutti chi era Luca, un giovane
pieno di vita e credente, trova la speranza per andare avanti. Non è la prima volta
che noto reazioni differenti (di fronte allo stesso dramma) fra padre e madre. Le
madri più facilmente si chiudono in un dolore infinito, non hanno parole se non
lacrime, ritengono che mostrare anche un minimo di serenità sia fare un torto al
figlio morto, mentre i padri reagiscono nel fare, nel fare memoria del figlio, scrivono
libri, organizzano eventi. Marco ha scelto questa seconda via. Un diario che
sanguina lacrime e dolore in ogni riga, che descrive persino nelle sensazioni
fisiche ciò che realmente prova un padre di fronte al figlio disteso in
obitorio, “con il volto sanguinante e il cranio fracassato”.
Sono a metà del libro ma ho voluto parlarne da subito. Non è un libro che ha bisogno di attendere il
finale, non è un romanzo. Purtroppo non è finzione. Purtroppo perché Luca è
morto, ma Marco ci fa capire che si può continuare a vivere e a credere in un
Padre, nonostante il più atroce dei lutti.
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