mercoledì 6 dicembre 2017

Natale -18

In riferimento al post di ieri, qualche anno fa ho scritto questo raccontino natalizio, che descrive il mio vissuto di ragazzo delle scuole medie, sul finire degli anni Sessanta.



Notte di Natale
di carlozanzi

Entro nella pancia della notte di Natale con il malinconico piacere del vittimismo. Sono da poco passate le ventitré del ventiquattro dicembre. Ho da poco ultimato di consegnare gli ultimi pacchetti: tortellini, ravioli, pasta al forno, cannelloni. Il Ciao verdemarcio è in garage. Ho addosso il profumo, infine nauseante, dopo molte ore, del Pastificio Bolognese di piazza della Repubblica. Ho salutato il maestro, il Peppino, la Luciana e quel tipo alto e secco, che tiene i conti con l’orologio di quanto sto al cesso, e se sgarro mi dice: “La merda si va a farla quando è matura.” Non è che sia un mostro di simpatia ‘sto tizio, ma alla fine c’è di peggio.
Cammino nella notte verso casa. Taglio in diagonale piazza Repubblica, alla mia sinistra il mercato vecchio, i negozietti, il bar Firenze. Fa freddo. Mi fascio nel cappotto, mi stringo addosso il suo calore, ora vorrei piangere. E così il vittimismo corre col mio giovane sangue. Credo c’entri il fatto che all’inizio il Natale è magia, è la festa più desiderabile, è il miracolo possibile e poi un giorno si scopre che il Bambin Gesù è solo tuo padre, la Madonna tua madre. Si rimane male. Ci si sente vittime di un tradimento. Si cresce, certo, si dimentica e si scoprono altre gioie ma la ferita rimane. Per questo cammino nella santa notte ma non sono felice. Un po’ di zucchero in verità lo gusto, perché mi hanno tradito, la colpa è loro, non mia, sono innocente, me l’hanno fatta, è giusto che mi stringa nel cappotto e nella mia malinconia, che mi fa star bene. Cammino lento, so che ad attendermi a casa non ci sarà nessun Re dell’Universo che reca doni, in fondo sono triste anche perché ho dovuto lavorare (io, ancora giovane studente delle medie) sin quasi al colmo della notte per guadagnare qualche soldo, indispensabile per regali alla mia portata. Perché i miei fanno regali, certo, ma so già che non arriveranno ai miei desideri. Non li completeranno. Così ci metto del mio, mi compro ciò che voglio però non è giusto, sono ancora uno studente, fare lo studente lavoratore pesa, soprattutto la notte di Natale, quando si vorrebbe precipitare nel magico sonno che non dorme, e vegli sino al mattino, quando ci daranno il permesso di alzarci e di continuare a sognare: che si può essere felici.
Cammino verso casa, nella notte di Natale. Non c’è gran traffico, la Messa della mezzanotte è ancora lontana, molti siedono a tavola per il cenone della vigilia, a casa mia niente cena speciale, i miei staranno già dormendo, o forse li sorprenderò nel goffo tentativo di riproporre un segreto ormai svelato. Forse ci sarà la porta chiusa con il cartellino: ‘Non si entra in sala’.
Ma alla fine che voglio? Magari non regali ma un abbraccio, due abbracci e tanti baci, mamma e papà che mi accolgono, si complimentano “Sei un ometto!”, mi spianano la rivoltina, mi baciano sulla fronte. O forse non mi sta bene nemmeno così, perché non potrei più cuocere a fuoco lento in questo senso di dolce abbandono nella commiserazione, nella contemplazione di una vita ingiusta, inadatta a come sono fatto io.

Cammino nella complicazione dell’esistere aumentando il passo, fa freddo, vorrei scaldarmi, la mia abitazione non arriva mai, ora desidero solo dormire. Un mendicante cammina strascicato, sta andando verso un vagone alla stazione delle Ferrovie Nord Milano, lì passerà la notte di Natale. Non mi fa pena. Mi fa paura. Aumento la frequenza della camminata. Corro. Il mio appartamento modesto ma riscaldato mi accoglierà. E forse, domattina, al mio risveglio dimenticherò di essere a metà strada, né bambino né uomo. E i miei diranno: “Alzati, piccolo, Gesù Bambino non si è scordato di te.”   

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