Una
sera al Circolo di Casbeno con Fabio Ilacqua, paroliere...e non scriviamo
sempre e solo paroliere di Occidentali’s Karma, perché a questo punto è
riduttivo, Fabio ha scritto non solo per Gabbani ma anche per Mina e Celentano
(è sua ‘A un passo da te’ parole e musica), Loredana Bertè, Francesco Renga,
Marco Mengoni, Paola Turci. Ho ritrovato con grande piacere il mio ex alunno
Vidoletti, classe 1975, che continua a restare quello che è sempre stato anche
prima del successo, lontano dal mondo della musica, desideroso di non smarrire
la propria identità. Il tormentone colto di San Remo 2017
vola nelle classifiche? Francesco Gabbani è ovunque? Lui no, solita vita,
rigorosa e varia: quando si può coltivare la terra, mattina dedicata ai campi,
pomeriggio a musica, scrittura, lettura, pittura. E ora, che l’inverno obbliga
al riposo dalla terra, dalle 8 alle 20 musica, scrittura, lettura, pittura, con
una pausa veloce solo per il pranzo. E se volete incontrarlo, al martedì e al
giovedì sera è al Circolo di Casbeno...come sempre. Certo, ora non deve più
bussare alla porta, lo vengono a cercare. “Questo è un vantaggio” mi confida,
mentre il Circolo si riempie e noi brindiamo, lui con birra e io con una tisana
rilassante. Lontano dalle comparsate, dagli inviti alle trasmissioni, dalle
interviste…”Non servono a niente” mi dice, mentre si accarezza la barba. Vuole
sapere di me, cosa leggo, che fa quel suo ‘vecchio’ prof ritrovato dopo tanti
anni. Ma a me interessa lui. L’Accademia di Brera e intanto dieci anni di
scuola di canto, anni e anni di serate musicali (“Eppure non mi sono mai
abituato a cantare dal vivo, per me è sempre difficile”): infatti ora non canta più, fa cantare gli
altri. Mi racconta di Celentano, di un inaspettato Mengoni, del coraggio di
Loredana Bertè, di una Paola Turci interessante ("Anzitutto è una bella donna"). In verità ci si aspetterebbe
più un romanziere o un poeta che un paroliere-musicista. “Guarda che io non è
che ascolti molta musica” mi racconta. “De Andrè, Guccini, Bertoli….pochi altri,
questi sono stati i miei riferimenti.” Non lesina sulla serietà e sul rigore di
ciò che si fa. “Molto è mestiere. Io a questo ho sempre creduto” dice Fabio. “Anche
quando nessuno mi veniva a cercare, cioè sino a due anni fa, lavoravo come se
avessi un contratto e dovessi consegnare un lavoro in un dato tempo.” E non
transige sulla necessità di essere se stessi: certi mondi (quello della musica,
ad esempio) ti cambiano, rischi di non ritrovarti più, arrivi a sera e ti
domandi: ‘Ma chi sono? Cosa ho fatto oggi?’ Niente maschere, niente vita di
facciata ma il costante bisogno di rinnovarsi, senza farsi abbagliare dalle
luci della ribalta, dai tanti amici che saranno pronti a voltarti le spalle,
quando il vento girerà. “Io sono come San Tommaso” dice Fabio. “Certe cose me
le devi dimostrare coi fatti.” Sono felice di regalargli la copia del Calandàri
2018, che parla anche di lui. Si sorprende che un alpino come me vada a tisana
e non a grappa, e si meraviglia che alle ventidue io debba già tornare all’ovile.
“Sono un nonno ormai” gli dico. Ma ci si rivedrà senz’altro, sempre lì, dove ci
sono i suoi amici di sempre. “Sai giocare a tennis tavolo?” mi dice. “Un
tempo...all’oratorio.” “Dai, ci facciamo una partitella...”
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