ph carlozanzi
Il
destino … nell'arrivo di un bambino
di
Simone Mambrini
"Buonasera, Signor Gabriele."
"Buonasera." Si salutavano così, tutte le sere, dal lunedì al
venerdì. Dandosi del lei, nonostante l'età di lei fosse meno distante da quella
di lui di quanto potesse far pensare lo stato dell'uomo, che sembrava attendere
qualcosa, seduto in modo straordinariamente composto accanto all'ultimo gradino
della scala che conduce al metrò, in piazza Duomo. Si conoscevano da qualche
anno, da quando Raffaella aveva iniziato a lavorare per una grande azienda, che
aveva i suoi uffici più importanti da quelle parti. Si era subito incuriosita,
notandolo. Seduto lì, non si sa bene se sempre o solo nelle ore di punta,
silenzioso e sorridente, "elegantemente trasandato". Aveva pensato e
detto queste due parole, per descriverlo ai colleghi, che erano scoppiati
subito a ridere dicendo: "Eccone un'altra, colpita dal Maestro!" Lo
chiamavano così, il barbone del metrò, quelli che si fermavano alle apparenze,
per via di una matita nera che spuntava fuori dal taschino della giacca, al
posto del fazzoletto. Ma chi andava oltre non poteva che notare gli abiti,
consumati ma puliti; il portamento elegante e discreto, e una certa ritrosia
che emergeva quando si sentiva osservato. Stava lì, nel suo angolo, con un plico
di fogli di carta colorata. I quali, sotto il dominio delle sue dita, si
trasformavano in sculture. Origami. Aveva imparato molti anni prima, sui banchi
di scuola, e quando aveva lasciato una vita agiata e un lavoro importante, li
aveva ritrovati e perfezionati al punto che era diventato un'attrazione
turistica. I bambini lo guardavano incantati mentre dalle sue mani esplodevano
cigni, rane che saltavano toccandole con un dito, gabbiani. Tutte cose che
venivano poi acquistate dai papà. Perché se c'erano le mamme, invece, erano i
fiori che spuntavano dalle sue dita. Fiori di loto, tulipani, rose, e via
discorrendo. Coi soldi mangiava, manteneva il decoro, e comprava altra carta.
Raffaella, però, non era una donna come le altre, non si accontentava delle cose
che si dicevano su di lui, e piano piano, giorno dopo giorno, aveva capito
quello che le interessava di più. Aveva a casa un quantitativo industriale di
opere cartacee, e aveva trascorso centinaia di pause pranzo mangiando un panino
guardandolo lavorare. Sapeva poco, di lui; il nome, e poco altro... però vedeva
la luce che avevano i suoi occhi quando un bambino lo guardava. E quando
continuava a farlo mentre i genitori lo portavano via, tenendolo per una mano,
mentre nell'altra il bambino portava a casa la sua opera. Era lo sguardo di un
uomo che vedeva in ogni bimbo il suo. Quello che un brutto giorno era andato
via per sempre, portando via con sé ben presto anche la mamma, che non aveva
resistito a quel dolore. Ma questo non lo sapeva nessuno. Solo Raffaella aveva
intuito qualcosa, perché guardandolo lavorare aveva notato una fotografia
sbiadita cadergli fuori dal taschino mentre ne estraeva la matita, e rischiare
di volar via sospinta da uno di quei venti artificiali che ogni tanto corrono
fuori dalle scale del metrò, come se fosse il vento stesso a essere in ritardo
per il lavoro. Quella volta il Maestro si era alzato di scatto e si era
lanciato al recupero, come se si fosse trattato di un tesoro prezioso. E lo
era. Una sera la gente gli passava intorno in fretta, freneticamente impegnata
in quegli acquisti che si fanno sempre, quando la Piazza del Duomo riluce per
l’arrivo del Natale. Nessuno si curava di lui, in fondo era un barbone che
dormiva; provvisoriamente o meno, cosa cambiava? Stringeva tra le dita la foto,
con il sorriso di chi aveva saputo per anni attendere lo sguardo del suo,
attraverso quello di tutti gli altri bambini che gli passavano davanti agli
occhi.
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