Rimessa
a nuovo la Olympia aranciooro, partimmo per Ponte di Legno. Prima l’ascesa al
Tonale (foto in alto), poi un paio di giri con la mountain-bike e quindi, il 7
luglio, il tentativo di salita al Passo Gavia, a mt 2650 sopra il livello del
mare, uno dei passi carrozzabili più alti d’Europa, cima Coppi di tanti Giri d’Italia.
Partii alle 5.55 del mattino, meteo super, in solitaria, adeguandomi al mio
carattere. Conoscevo la strada, sapevo dell’insidioso tratto sterrato a metà,
un paio di chilometri davvero duri, con punte al 16%. Il mio rapporto più
leggero era il 42-25. Affrontai quel tratto con coraggio e decisione, ma mi
trovai in difficoltà sulle pendenze più aspre, perché non potevo salire sui
pedali: la ruota posteriore slittava. Così fui costretto a mettere il piede a
terra per qualche metro, in qualche modo ‘macchiando’ la mia modesta impresa,
ma o così o niente. Poi via, con coraggio, sempre più in alto, oltre i duemila,
con il fiato corto e gli strapiombi sulla sinistra. Quindi la galleria, altro
punto che sapevo insidioso. Entrai in quel nero senza luce, senza una pila
sulla bici, andando a naso, sperando di non prendere buche, confidando che non
passassero auto o ancor peggio camion. Uscii finalmente alla luce, completando
la salita: c’era ancora molta neve al passo. Due ore di salita per coprire i
17,5 km dell’ascesa. Foto alla croce, uno spettacolo che mi ripagò della
fatica. Discesa in 35 minuti, vidi un cerbiatto e una marmotta mi tagliò la
strada. Così ricordo quella mia prima salita al Gavia in bici. Avevo 39 anni e
mi sentivo leggero.
49-continua
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