Quel
luglio 1995 a Ponte di Legno è legato anche ad un’altra piccola impresa
sportiva. Certo, gli scalatori veri si metteranno a ridere come matti, ma per
me è stata una passeggiata impegnativa, anche con un po’ di rischio. Avevamo
amici a Ponte, proprietari del bar Salimmo, ai quali chiesi subito: “Perché
questo nome?” E loro mi indicarono una cima proprio di fronte al loro bar: “Perché
quella si chiama Cima di Salimmo” risposero. E da quel momento, come per una
bella donna, uno diventò l’imperativo: conquistarla! Scusate l’enfasi, ma pur
essendo una cima di soli 3.115 metri slm, ha il suo fascino. Così in quel mese
presi le misure, mi informai presso il CAI locale, guardai il cielo e dissi:
alla prima alba giusta, parto. E l’alba si presentò il 20 luglio. Partenza alle
5 con la Panda di mia cognata Enrica sino al Corno d’Aola, a m 1900, e poi via,
in solitaria. Sapevo che ci sarebbero stati alcuni passaggi non facili, anche
perché io ero solo, e infatti, poco prima della cima, ecco il passaggio temuto.
Ricordo che si trattava di fare un salto per superare una striscia di neve su
una stretta forcella. Volevo saltare perché non conoscevo la consistenza della
neve, il suo spessore: in caso di scivolata il nevaio era ripido, non avevo
ramponi né picozza: nulla. Ma con un balzo non sarei arrivato sulla roccia di
fronte. Quindi ero costretto a provare la neve. Ci misi qualche minuto prima di
decidermi, poi rischiai: mi andò bene, la neve resse, affannato ripresi la
salita verso la cresta sommitale e la cima. Sotto molte nuvole di afa (mai
visto un luglio così caldo in montagna) ma sopra il sereno, lo spettacolo del
ghiacciaio dell’Adamello, molta soddisfazione. La ricordo senza dubbio come una
delle cime per me più belle, raggiunta da solo, nel silenzio totale (non
incontrai nessuno, anche perché arrivai in cima alle 8.55), con tutte le ‘sfumature’ della montagna, che
sono anche le sfumature della vita.
51-continua
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