L’esordio
fu felice. Dopo qualche minuto, necessario a riscaldarmi e ad allineare il
respiro con il movimento di gambe e braccia, mi rincuorai e nuotai bene. Molti
mi superavano a destra e a sinistra, ma lasciavo fare. Sapevo che qualcuno
sarebbe andato anche più adagio di me, e poi l’obiettivo non era il tempo ma l’approdo
sulla sponda lombarda del lago Maggiore. Non faceva freddo, la muta teneva, il
respiro era controllato. Dopo una ventina di muniti cominciai a notare che non
vedevo più nuotatori, né davanti né di fianco, dietro non potevo sapere.
Guardavo l’eremo, che mi pareva sempre allo stesso punto, sempre delle medesime
dimensioni…un puntino. Poi cominciarono ad appannarsi gli occhialini, evento
mai augurabile. Persi i riferimenti. In quel caso sarebbe stato necessario fermarsi,
pulire gli occhiali, guardarsi intorno e
riprendere la via. Ma non era capace di farlo. Così continuai ma l’appannamento
aumentava. Non vedevo nessuno, mi giudicavo solo in mezzo al lago. E il panico
salì, l’ansia si impadronì della mia tranquillità, mi fermai, alzai il braccio
e chiesi l’intervento di una barca di salvataggio. Arrivò subito un piccolo
motoscafo, che mi issò a bordo. Sgocciolante, guardai l’orologio: avevo nuotato
per 40’. Mi guardai intorno: ero più o meno
a metà lago, quindi allineato con i tempi previsti. Molti nuotatori
erano davanti a me, chi in linea con l’eremo, chi diretto verso sud e chi verso
nord. Dietro a me vi erano altri concorrenti e molte barche… non ero certo il
solo nuotatore nel lago. Ma il panico mi aveva allontanato dalla realtà. A quel
punto sarei anche tornato in acqua, ma non lo feci e raggiunsi la riva in
barca.
Fu
un duro colpo, una delusione cocente, un’amara sconfitta.
79-continua
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