Diciamo
prima chi è Gino Montesanto, ignoto ai più, eppure fra gli scrittori cattolici
italiani più importanti del dopoguerra, tre volte vincitore del premio
Selezione Campiello (La cupola nel 1966, Il figlio nel 1975 e Così non sia nel
1985). Veneziano di nascita, romagnolo-romano di adozione, Montesanto è stato
anche giornalista e ha collaborato a lungo con la Rai, ha fondato e diretto
riviste letterarie. Uno scrittore serio, un narratore professionista. Di uno
come lui avevo bisogno, e ho avuto la fortuna di trovarlo. Come? Facciamo un
passo indietro. Grazie alla mia nuova esperienza al Luce ho avuto modo fra
l’altro di seguire l’avventura del Premio letterario dedicato a Piero Chiara,
nato alla fine degli anni Ottanta grazie a Max Lodi, Pierfausto Vedani e
all’assessore alla cultura Antonio De Feo. E Gino Montesanto venne chiamato
proprio nella Giuria del Premio, insieme ad altri uomini di cultura di fama,
fra i quali Fernanda Pivano e Raffaele Nigro. Avevo questo romanzo, ormai
diventato racconto lungo dopo le molte rivisitazioni. Avevo scritto anche
alcuni racconti, perché ormai ero dell’idea che sarebbe stato meglio pubblicare
una raccolta di racconti (ingolosito anche dal fatto che avrei potuto
partecipare proprio al Premio Chiara, destinato a raccolte di racconti). Chiesi
allora a Pierfausto Vedani se potesse farmi incontrare qualche giurato del
Premio, e lui mi indicò subito Montesanto. “Ne parlo io con Gino” mi disse
nella primavera del 1993, e così fece. Incontrai Montesanto ai Giardini
Pubblici durante una delle manifestazioni del Premio, gli parlai, gli feci avere
il mio dattiloscritto. E lui lo lesse. Dopo qualche tempo ci incontrammo di
nuovo e mi fece capire che era rimasto soddisfatto dalla mia scrittura.
26-continua
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