Come
per la raccolta di poesie, anche per il mio primo romanzo non organizzai alcuna
presentazione, anche perché in pratica tutti i miei amici avevano già
acquistato il libro (con la prevendita), avrei quindi rischiato di organizzare
una presentazione trovando la sala vuota. Sul fronte della critica letteraria,
ho ragione di credere che in effetti molte copie vennero inviate a molti
critici, anche di fama, che avranno letto la prima pagina, arrivando subito ad
un giudizio. Ferruccio Ulivi ebbe parole consolanti, uno mi inviò un bollettino
di conto corrente postale (se volevo la sua critica, dovevo pagare 20.000
lire!), quasi due anni dopo (maggio 1991) ricevetti una bella lettera di
Vittorio Messori, che scriveva “ho ricevuto e letto con piacere La comune di
Barbara, trovandovi consonanza di fede e di intenti…”. Messori, dopo i best
seller ‘Ipotesi su Gesù’ e ‘Scommessa sulla morte’, aveva deciso di tentare
anche lui con la narrativa. Il suo giudizio lusinghiero mi confortò, ma ormai
nel 1991 il mio primo romanzo era un lontano ricordo. Ebbi modo di litigare non
poco con Paolo Ruffilli, delle Edizioni del Leone, perché mi aveva promesso che
avrebbe inviato il libro in molte librerie, mentre non lo trovavo nemmeno a Varese.
Mi disse che per inviare il libro doveva avere la richiesta del librario, e
quando mai un libraio avrebbe richiesto il mio libro? A parte il fatto che un
libro in libreria senza un richiamo pubblicitario e come non ci fosse, ma feci
comunque la mia bella esperienza, scoprendo che ‘Papà a tempo pieno’ era stato
il mio colpo fortunato. Ebbi il sospetto che da lì in avanti sarebbe stata
molto dura. Ho fatto bene a pubblicare quel romanzo? Mah, non so, col senno di
poi forse oggi aspetterei, ma allora andavo a mille, avevo smarrito il senso di
realtà, e forse è un bene, perché la troppa consapevolezza blocca, limita,
toglie l’audacia, essenziale insieme alla fortuna.
17-continua
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