Mi
soffermo ancora un poco su questo libro perché, a distanza di tanti anni, lo
considero uno dei miei lavori migliori, forse perché frutto di profonda
revisione, di lunga ‘masticazione’. Sei racconti, due dei quali senza un
esplicito riferimento al titolo, cioè alla morte: ‘Occhiate’, scritto al mare,
a Porto San Giorgio, nell’estate del 1992, e ‘Il premio’, che è debitore delle
mie prime, negative esperienze nei premi letterari, dove affronto tematiche che
mi saranno care più avanti. Abbiamo poi ‘La recita’, un racconto sperimentale,
lontano dal mio realismo spinto, con uno stilo diverso, ‘La scheggia impazzita’,
suggerito da un fatto di cronaca, ‘L’ultimo nemico’, con la storia di Stefano,
Laura e del vecchio Bruno, pescatore di lucci, alla caccia disperata della sua
ultima preda, infine ‘L’uscio socchiuso’, uno dei miei primissimi racconti,
scritto nel 1990. L’apertura e la chiusura della raccolta vogliono rimarcare la
mia speranza nella resurrezione. Se il titolo parla di morte, in realtà l’esito
sperato non è quello. Scrivo infatti come dedica iniziale: A chi spera nel sepolcro vuoto. A chi vuole ancora vedere, al di là
delle cose. E anche l’ultima frase dell’ultimo racconto è carica di
resurrezione: “E’ domenica.”
La
partecipazione al Premio Chiara non fu positiva. Entrarono nella terna Laura
Pariani (che vinse), Giuseppe Pontiggia e Antonio Moresco. Ci fosse stato
ancora in giuria Gino Montesanto forse avrai avuto qualche possibilità in più,
ma lui non c’era e le cose andarono diversamente. Fui lo stesso contento perché
il presidente del Premio, Gottardo Ortelli (assessore alla Cultura, ne parlerò
più avanti) scelse il mio libro, insieme a quelli di Robi Ronza e di Renato Tadini,
per una presentazione al Caffè Zamberletti, intervistati da Enzo Fabiani, nell’ambito
delle manifestazioni del Premio Chiara. L’incontro avvenne l’8 giugno 1994.
29-continua
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