giovedì 25 febbraio 2016

La mia scrittura - 38



Il 1995 iniziò bene per la mia scrittura: il 26 gennaio vinsi il concorso Poeta Bosino, organizzato dalla Famiglia Bosina. Avevo partecipato con una poesia dialettale, ‘Rusari d’un vecc’. Fu una grande emozione, un inatteso successo, inatteso ma sperato. Il mio desiderio di scrivere poesie nel dialetto varesino era nato nel 1993, nato dal mio bisogno di esprimermi in ogni forma letteraria possibile, e nato ripensando soprattutto a mia mamma Ines, con la quale dialogavo continuamente. Era un modo di sentirmela vicino; i miei genitori, fra di loro, parlavano in dialetto, e grazie ai loro dialoghi avevo imparato questa lingua, che non utilizzavo mai ma che era rimasta dentro di me, come dono, ricchezza, la lingua del passato, dei ricordi, della memoria. Nel 1993 avevo scritto un paio di poesie e avevo partecipato al concorso Poeta Bosino, organizzato ormai da alcuni decenni. Non venni scelto fra i primi tre, cioè fra i premiati. Ma –come è mio costume- non mi scoraggiai, diedi ancora voce a questo mio desiderio e il 23 gennaio ricevetti la telefonata del regiù della Bosina, Augusto Caravati. Mi invitava per la serata del 26 gennaio, festa du ra Giobia, momento che tradizionalmente ospita la premiazioni dei poeti finalisti. Ero nei tre, ma in quale posizione? Vinsi, ricevetti la statuetta d’argento del Pin Girometta, i complimenti dei presenti e soprattutto di Clemente Maggiora, grande esperto di dialetto; mi regalò un volume di Speri Della Chiesa Jemoli, con la dedica: ‘Al giovane poeta bosino Carlo Zanzi, a nome mio personale e degli Amici di Speri, i più vivi complimenti e l’incitamento a continuare sulla strada della tradizione bosina’.
Devo dire che l’augurio di Clemente mi ha portato bene: da allora ho sempre partecipato al concorso, qualche volta sono arrivato finalista, ho sempre mantenuto l’abitudine di scrivere poesie in dialetto e mi sono sempre più avvicinato alla mia città, ‘letta’ nel passato, nel presente e nel futuro.     


 38-continua

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