domenica 1 maggio 2016

Il mio sport - 59





E venne il giorno della mia prima maratona: 7 marzo 1999. Era una giornata serena ma con vento freddo. Partii portando con me mio padre Mario, volevo mi seguisse in bici, sapevo che un supporto sarebbe stato prezioso (ad esempio per lasciare i vestiti, in caso di partenza troppo coperti…). Trovai alla partenza anche il mio amico Max Lodi, autore di un libro sulla maratona che mi era stato utile. Il percorso era pianeggiante, partii ben coperto, facendo clic sul mio Nike, un orologio preso apposta per la maratona, cioè con 42 memorie, per poter fissare i passaggi ad ogni singolo chilometro. Come i maratoneti sanno, è essenziale verificare il crono ad ogni chilometro, perché in principio l’adrenalina è vivace ed è facilissimo andare più veloci della tabella, senza accorgersene. In effetti mi accorgevo che, senza per nulla tirare, superare il tempo prestabilito, e fui costretto a farmi violenza per non andare più veloce, seguendo chi mi superava. La prima metà della gara è un vero godimento, il piacere puro della corsa, senza alcuna fatica, godendosi il panorama, i concorrenti, immaginando ciò che arriverà. Intanto la presenza di mio padre fu utile, perché cominciai ad alleggerirmi nel vestiario. Sono contento che qualcuno riuscì ad immortalarmi al passaggio (mi pare di Grazzano Visconti) con lui dietro in bici. Man mano che scorrono i chilometri, ci si rende conto che mantenere il tempo in tabella diventa un problema. Ma ciò inizia dal fatidico trentesimo chilometro, quando mancano ancora 12 km all’arrivo e comincia ad imporsi la fatica. E’ una lenta e costante ‘intossicazione’, i muscoli diventano sempre più contratti e rigidi, i piedi si fanno dolenti, comincia qualche dolore al fianco. Gli ultimi chilometri, sino al 41°, sono una tortura, e lì è necessaria la forza di volontà, sempre nella speranza che non arrivi un dolore forte che ti obblighi alla resa. Mi andò bene. Poi si arriva all’ultimo chilometro, e allora lì è l’apoteosi, si corre guidati dall’entusiasmo, il responso cronometrico ci soddisfa, la meta è sempre più vicina, si cerca qualche (un po’ patetico) sorpasso, infine il clic finale sull’orologio. Nel mio caso il crono si fermò sulle 3 ore, 46’ e 46”, abbondantemente sotto le 4 ore per coprire i 42 km e 195 metri della maratona. Le gambe mi fecero male per una settimana ma già tre giorni dopo correvo 15’, e il 13 marzo 40’.  
59-continua

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