In
mente avevo però il triathlon. Amante da sempre delle discipline multiple
(anche la ginnastica artistica è una disciplina multipla), vedevo nel triathlon
uno sport completo, meno traumatico e più vario della sola corsa. Corsa e bici
erano già un mio cavallo di battaglia. Restava il problema del nuoto. Poiché
intendevo cimentarmi nel triathlon olimpico (1,5 km di nuoto + 40 km bici + 10
km corsa) dovevo imparare a nuotare a lungo, non solo in piscina ma anche nei
laghi e al mare. Nel mese di marzo di quell’anno 2000 cominciai ad andare in
piscina. Dapprima alternavo vasche a stile e vasche a dorso, poi sempre più
stile e sempre meno dorso. Con pazienza, nel giro di qualche mese riuscii a
nuotare con una certa tranquillità 60 vasche, cioè 1500 metri, tutte in stile,
senza fermarmi mai. Fu una piacevole sorpresa. Non avevo mai amato il nuoto. Mi
innamorai anche di quello. Riuscivo a rilassarmi, a respirare adeguatamente, a
trattenere l’ansia della testa sott’acqua. Ma un conto era il nuoto in piscina,
un altro il nuoto in acque libere. Lessi molto. Intanto dovevo iscrivermi ad
una società sportiva per poter gareggiare nel triathlon. Nel 2000 non era
ancora nata la Varese Triathlon, così mi informai e scoprii che la Pro Patria
Milano Triathlon aveva una ‘filiale’ anche a Somma Lombardo, guidata da un
certo Piantanida. Lo incontrai, fu gentile, chiarì tutti i miei dubbi. Scoprii
che il figlio, Edoardo Piantanida, era fra i più forti triathleti italiani dell’epoca.
Cambiava una muta all’anno, così il padre mi vendette la sua, dell’anno precedente,
a 300.000 lire, seminuova, un prezzo stracciato, perché una muta così, da
professionisti del triathlon, costava 800.000 lire. Fu un vero affare. Nella foto
sono in allenamento al lago Maggiore, qualche anno dopo. Alla fine di maggio
del 2000 provai la muta al lago di Monate. E via: era partita la mia triathlon-mania.
64-continua
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