lunedì 29 febbraio 2016

In memoria di Lino

                                                                                               ph carlozanzi



Mancava l'aria ieri sera al Teatro Santuccio di Varese, vuoi perché era stracolmo, vuoi per il piacere del canto regalato da tre cori, riuniti per fare memoria di Lino Conti, amante della musica corale. Insieme ai più che rodati e noti Coro Sette Laghi (in foto), diretto da Giacomo Mezzalira, e Coro Val Tinella, diretto da Sergio Bianchi, anche il Coro La Madonina-Lino Conti, composto da studenti universitari, coro nato dopo l'incontro con Lino, nel 2011, all'Istituto dei Tumori di Milano. Fu lì che Lino insegnò ad alcuni studenti di medicina il canto 'La Madonina', e lì nacque la scintilla della passione musicale. Chi semina raccoglie, caro Lino. 

Ritorno

                                                                                         ph carlozanzi


Ieri sera sono tornato alla Vecchia Varese, per il concerto degli 'Amici di Mock': Cecilia, Annina, Stefano e Franco. Tornavo dopo il luglio 2015, quando in questi locali Marco ha tenuto uno degli ultimi suoi concerti. Sentimenti contrastanti per me: riconoscenza per Marco e questi amici, malinconia per la sua mancanza, piacere per la musica ma anche nostalgia. 

domenica 28 febbraio 2016

Manital Torino-Openjobmetis Varese: 72-84

                                                                                             ph carlozanzi


Varese torna alla vittoria fuori casa, e contro una diretta avversaria per la salvezza: Torino. Sempre avanti (14-28; 39-44; 56-66) sino al finale, 72-84. SuperKuksiks, un numero impressionante di triple, una percentuale fantastica. Finalmente una boccata d'ossigeno per per il basket bosino.
Forza Varese! 

Sonnifero


Due giovani genitori sanno qual è il sonnifero più potente!

La mia scrittura - 45




Certamente galvanizzato dal premio trevigiano, davo inizio al nuovo anno con qualche ambizione. Da tempo pensavo che mi sarebbe piaciuto collaborare con lo storico quotidiano varesino, ‘La Prealpina’,  seguendo il buon esempio dell’amico Riccardo Prando, che lavorava sia al ‘Luce’ che, da alcuni anni ormai, alla ‘Buciarda’, come i leghisti definivano il quotidiano di via Tamagno. Così, in quell’inizio di 1996, come avevo fatto per il ‘Luce’ sette anni prima, senza nessuna raccomandazione se non il mio nome, che cominciava a circolare un po’ almeno a Varese, bussai alla porta della Prealpina. Non ricordo chi fosse il direttore allora, ma non andai da lui. In alto alle scale, sulla sinistra, c’erano due uffici. Nel primo lavorava Max Lodi, nel secondo Fausto Bonoldi. Si girava a destra e c’era la redazione; le pagine di Varese città erano curate da Gianni Spartà. Mi fermai alla prima porta, dove venni accolto da un silenzioso e accigliato Max Lodi. Il figlio dello storico direttore della Prealpina, Mario Lodi, che mi conosceva di nome e anche perché, per il tramite di Sul Sagrato, ero in confidenza con suo padre (santambrogino doc come il mio), non mi accolse certo a  braccia aperte. Non era nel suo stile. Né mi incoraggiò nella mia decisione. Mi ascoltò e disse che si sarebbe fatto sentire, nel caso. E in effetti mi richiamò, se non erro avrei dovuto scrivere una recensione su un libro di narrativa, per la pagina culturale della domenica. Incoraggiato da quella proposta, lessi il libro, stesi la recensione e azzardai io una proposta di pezzo, un’intervista al poeta belfortese Arnaldo Bianchi. Ci eravamo conosciuto come giurati, proprio quell’anno, del Premio di poesia Eraldo Benvenuti, mi piacevano le sue poesie. Lodi acconsentì e così, una ventosa e gelida serata di fine inverno, bussai alla porta del poeta Bianchi, lo intervistai, feci anche le foto e scrissi quello che considero il mio primo pezzo sul quotidiano varesino, uscito giovedì 28 marzo 1996. Pezzo, che ovviamente, ancora conservo nel libro di Arnaldo, la raccolta poetica ‘Paesaggi inattesi’. Senza voler sminuire ‘Luce’, uscire su ‘La Prealpina’ era una promozione, un passaggio, un ‘successo’. Sebbene semplice collaboratore (pagato una miseria, va scritto) ero orgoglioso.


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Indimenticabile Mock


sabato 27 febbraio 2016

La mia scrittura - 44




Il 1995, che era iniziato con la vittoria al concorso Poeta Bosino, terminava con una medaglia di bronzo, che mi rincuorò non poco, appianando altre delusioni. Ho sempre pensato che partecipare a concorsi, premi letterari ha certamente il rischio della delusione (molto probabile, almeno in base alla mia esperienza), ma in caso di successo regala carica. Avevo saputo della prima edizione di un premio letterario nazionale per racconti, nato per festeggiare i 40 anni di fondazione della Fameja Alpina di Treviso: ‘Parole attorno al fuoco’. Si trattava di scrivere un racconto, seguendo la traccia: Storie di Alpini in guerra e pace. Andavo a nozze, essendo un alpino. Scrissi il racconto ‘A Flavia’. Arrivò il telegramma: terzo classificato. Mi pagavano viaggio e albergo, due giorni (5-6 gennaio 1996) ad Arcade, in provincia di Treviso, per ritirare il premio (denaro e coppa di cristallo) ed assistere al panevìn, così si chiama il falò da quelle parti, come il nostro falò alla Motta, per Sant’Antonio. Ricordo emozione, gioia e un gran freddo: nevicava. Il fuoco del panevìn sulla faccia, la neve sul cappello d’alpino, strette di mano, e un incoraggiamento implicito per la mia narrativa: non dovevo mollare. Ricordo, per dovere di cronaca, che ho partecipato un altro paio di volte (una senz’altro) al premio, senza ripetere il podio. Poi hanno messo una tassa di partecipazione; sono contrario alla tassa per partecipare a questi concorsi, quindi non inviai più nulla. Il Premio si rinnova ancora, ed è considerato un premio nazionale di ottimo livello.

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Festa di laurea



Ieri sera ho visto su youtube un bel film di Pupi Avati: 'Festa di laurea'. Un grande Carlo Delle Piane, la falsità del mondo borghese contro la sincera spontaneità del mondo meno abbiente, un amore non corrisposto, un amore immaginato capace di resistere dieci anni e di regalare una festa struggente, con il deludente finale di una laurea taroccata e di un regalo sprecato. Bello. E mi è venuto in mente che proprio oggi, 28 febbraio, ma del 2012, si laureava (laurea magistrale) in matematica mia figlia Maddalena: una laurea non taroccata, però. Molto è cambiato nella vita di Maddalena da allora, ma per fortuna ha incontrato quel genere di vita che è a misura dei nostri desideri. La fatica non è finita (quella non finisce mai) ma c'è anche la gioia...come allora. 

Benvenuta, Maria



Evviva! E' nata Maria, figlia della mia amica e collega Simona e di suo marito Angelo. Auguri anche ai nonni, in particolare ai nonni Monti, che conosco.

La mia scrittura - 43


in foto: vetrina della libreria Don Bosco, nel 1994. Qui sopra: il solo sport che praticavo sino al 1995 era portare le mie bimbe in bici


E dopo tanto ‘correre’ con la biro sul foglio, tanto battere sui tasti della macchina da scrivere e poi del mio primo notebook, dopo tanto sognare e creare storie e inviare dattiloscritti agli editori, e sperare e raccogliere gioie e delusioni, il 1995 –pur con due libri usciti- segnò per me un momento di crisi, per ciò che riguarda soprattutto la scrittura creativa. Vado a cicli decennali, e un decennio si era concluso. I motivi? Certamente  il poco successo con gli editori (a parte per ‘Papà a tempo pieno’) e anche i non lusinghieri (per lo meno per ciò che mi aspettassi) commenti di critici e lettori (il silenzio vale più di mille parole) contribuirono a farmi perdere coraggio. Il vento dell’entusiasmo iniziale andava spegnendosi, la famiglia aveva il suo peso (tre figlie) ma anche le sue gioie, e poi un lavoro come docente che mi coinvolgeva e mi piaceva, fatto sta che non riuscivo più ad alzarmi la mattina presto per scrivere, e quando ci riuscivo non era più come un tempo. La pagina restava bianca o con poche frasi maldestre. L’estate, periodo che mi avrebbe concesso più tempo e spazi per un nuovo romanzo, mi vedeva fiacco, distratto, poco motivato, forse deluso dopo tanto correre. Persi entusiasmo, e quando notai che questa disistima stava portandomi ad una lieve apatia reagii...ma non con la scrittura, bensì recuperando una mia passione che, con la nascita delle figlie e con la nuova ‘mania’ letteraria avevo trascurato: lo sport, ovviamente. Non ne praticavo più, a parte andare a scuola in bicicletta, portate le mie figlie sul seggiolino della bici, e le camminate in montagna durante l’estate. Partii quindi, con la bici e con la corsa. Fu una scelta saggia per la mia salute, evitò il montare di una insidiosa, velata ma fastidiosa depressione, mi regalò aria e un cuore più vivace. E come dico spesso, come lo dicono in tanti e come ha scritto recentemente Fabio Ilacqua, mio ex alunno artista-cantautore, ‘il movimento muove le idee’.


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Un concerto per Lino



Solo in un secondo momento ho scoperto che Lino era anche un ottimo direttore di coro. Del resto i Conti hanno la musica nel sangue. Ho conosciuto Lino Conti come tipografo; per un certo periodo andai da lui a far stampare Sul Sagrato, 'rivista' della parrocchia di Sant'Ambrogio Olona. Non era di molte parole, ma mi era simpatico. I suoi amici lo vogliono ricordare con un concerto: 'In memoria di Lino'. E' in programma domenica 28 febbraio, ore 21, Teatro Santuccio (via Sacco, Varese). 
Canteranno tre cori:
Coro Val Tinella (direttore Sergio Bianchi)
Coro La Madonina-Lino Conti (direttore Johannes Toti)
Coro Sette Laghi (direttore Giacomo Mezzalira).

Ingresso libero 

La mia scrittura - 42


Ma ancor prima dell’uscita di ‘Luzine’ (alla fine del 1995) quell’anno porterà alla luce un altro mio libro, diciamo libretto. Disattendendo le indicazioni soprattutto dell’amico Gino Montesanto (che mi invitava a prendere sul serio la mia narrativa e a fare una scelta, a dedicarle una, due ore al giorno), avevo accettato una nuova proposta di lavoro di don Adriano Sandri, parroco di Velate. Mi aveva coinvolto, per narrare i novant’anni di storia della ‘Edelweiss’, la filarmonica velatese, la banda di Velate. Andavo a mille e accettai. E allora interviste, lettura di vecchi documenti e la realizzazione del volumetto, che purtroppo contiene nel titolo un clamoroso errore, direi imperdonabile, trattandosi della copertina, che richiede la massima cura. Nel sottotitolo scrissi novantanni tutto attaccato, nessuno me lo corresse e così uscì. Se ne accorse Pierfausto Vedani, ma ormai la frittata era servita sul piatto. Per le foto coinvolsi Gianfranco Bertani, Angelo Buttè e Alessio Diolisi, giovane fotografo (oggi medico) che si era appassionato grazie a Sul Sagrato. La foto di copertina è del vulcanico fotografo professionista Gianfranco Bertani, che allora aveva il negozio in piazza Milite Ignoto, a Sant’Ambrogio. Il libro venne presentato nell’estate 1995, nell’ambito dei festeggiamenti per i 90 anni della banda.  


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venerdì 26 febbraio 2016

Auguri, Alessandro



Felice compleanno a mio nipote Alessandro

la mia scrittura - 41




Nel 1995, vista la non disponibilità delle case editrici di grossa taglia, cercai –per la mia Luzine- un piccolo editore locale. Avrei anche potuto battere la porta a qualche editore medio-piccolo, ma preferii restare a Varese, e mi ricordai dell’editore Rino Nicolini. Ero stato per la mia raccolta di poesie, da lui gentilmente rifiutata. Ma le cose per me erano cambiate. Avevo pubblicato un libro sui parroci di Velate, edito da Nicolini. Ci eravamo conosciuti, sapeva che ero un giornalista e che avevo scritto altre recensioni su libri editi dalla sua casa editrice. L’accoglienza fu quindi diversa, mi ascoltò con interesse e sposò la mia causa. Sapendo per esperienza che era un editore che tirava per le lunghe, che arrivava sempre all’ultimo momento, inventai una data di presentazione anticipata, e feci bene, perché il libro tardava a concretizzarsi. Curai anche la copertina. Nel frattempo ero diventato amico del fotografo Giorgio Lotti, uno fra i maggiori fotografi italiani, nella squadra di Epoca. Si era trasferito a Varese, ci eravamo conosciuti l’anno prima, erano sue molte foto del libro ‘Maroni l’arciere’ (pagate non poco dai Redaelli di Lativa). A Giorgio chiesi una sua foto, mi regalò una bella immagine dell’arrivo di una nave albanese al Porto di Brindisi. Non so perché l’editore scelse una carta patinata e non uso mano. Il libro uscì giusto in tempo per la presentazione alla Palazzina della Cultura, il 14 dicembre 1995. Quella sera nevicava. Nonostante il meteo sfavorevole, la gente non mancò. Con me il giornalista Gianni Spartà, l’editore Rino Nicolini e Natale Gorini, che lesse l’intervento di Annalina Molteni (assente per malattia). Il Comune di Varese mi aiutò dandomi la sala e la stampa degli inviti. Anche per dimostrare all’editore che mi davo da fare per la promozione del libro (ma soprattutto perché a quel libro credevo) organizzai nel 1996 altre presentazioni: il 22 marzo alla mia scuola, la Vidoletti, con l’intervento dell’amico giornalista Riccardo Prando. Conobbi allora Augusto Ossola, che aveva fatto la guerra in Albania e, letto il libro, si complimentò perché aveva ritrovano nelle mie pagine quei luoghi e quel clima. Il 10 maggio andai nella mia ex parrocchia, Biumo Inferiore, coinvolgendo la professoressa Carla Rossi e Antonio Colombo. Avrei dovuto fermarmi lì, tre presentazioni a Varese erano già tante. Ma, galvanizzato, esagerai. Confidando nel fatto che quei circoli culturali avessero già un loro pubblico, e non i miei soliti amici, organizzai un’altra presentazione alla Piccola Fenice di Silvio Raffo, e alla Castellanza di Bosto. Dal poeta e scrittore Raffo vennero in tre, e alla Castellanza nessuno. Un buco clamoroso, che mi demoralizzò non poco. L’inesperienza aveva giocato un brutto scherzo alla mia autostima.

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La mia scrittura - 40



Ho scritto ‘Luzine’ ancora a mano, su vecchie agende. Questo nuovo romanzo segna la fine della mia abitudine di scrivere solo al mattino. Mi alzavo sempre presto ma dopo un po’ il sonno aveva la meglio, così me ne tornavo a letto. Ho così imparato a sfruttare altri momenti della giornata, a casa ma soprattutto fuori casa: in un’aula scolastica, nelle chiese. Ricordo che salivo spesso nella piccola chiesa di Fogliaro, dove si erano sposati i miei genitori nel luglio del 1953. Il primo dattiloscritto di Luzine è ancora battuto a macchina da scrivere. Per la prima volta scelsi sia la prima che la terza persona, alternandole nella narrazione. Mi era molto piaciuto ‘Lo scherzo’, di Milan Kundera, e avevo preso spunto da quel romanzo. Terminato il lavoro, convinto che fosse un buon lavoro e che l’argomento fosse d’attualità, lo inviai ad alcune case editrici nazionali, persino a Mondadori, e lo feci leggere sia a Mario Spinella che a Gino Montesanto. Mario ebbe un parere più che lusinghiero, ravvisando un notevole miglioramento nella mia scrittura. Con mia sorpresa, invece, Gino non lo troncò ma quasi, rimproverandomi l’eccesso di personaggi, il passaggio troppo agevole fra la prima e la terza persona…..Lo giudicò un lavoro affrettato, non ‘masticato’  come L’ultimo nemico. In effetti non era stato sottoposto ad un lungo lavoro di revisione, mi pareva di aver raggiunto già una certa pratica, evitando gli errori del principiante già nella prima stesura. Le Case Editrici contattate non furono generose con il mio lavoro. Non mi persi d’animo e lo lasciai decantare un po’.


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Scenderò




SCENDERO’
di carlozanzi

Scenderò tutti i giorni da te,
fra le braccia la tua vita di latte.
Pregherò: ‘La mia veste di sacco
con te diventa abito di gioia.’

Mi basta il tuo sonno appagato,
piccoli occhi al riparo dalla luce,
fili di labbra, tremiti e sospiri,
i miei soli minuti di bellezza.

Correrò tutti i giorni da te,
come ogni giorno respiro questa vita
che ti cercava, che ti contemplava;
una precarietà che ti implorava.


26 febbraio 2016

Grazia


Più ripenso a come si è conclusa la vicenda umana di mio fratello Marco, più mi convinco che Mock ha ricevuto una Grazia particolare, un dono, un aiuto oltre l'umano, che gli ha permesso di affrontare quel tempo in maniera invidiabile. E questa convinzione-speranza è ancora più marcata se raffronto quei giorni di Marco con i miei. 

giovedì 25 febbraio 2016

La mia scrittura - 39

                                                                 ph giorgio lotti


Alla fine del 1995 uscì il mio secondo romanzo, ‘Luzine’. Anche in questo caso mi permetterò di parlarne diffusamente perché lo considero ancora un buon lavoro, sebbene piuttosto affrettato, frutto di quella mia bulimia da scrittura che mi ha condizionato soprattutto negli anni Novanta. Una premessa: ho sempre cercato, nei primi anni, di dare alla mia ‘perdita di tempo’ di scrittore un fondamento, una motivazione alta, una missione, un compito. In principio, con ‘La Comune di Barbara’ e ‘L’ultimo nemico’, la scrittura voleva essere comunicazione di una fede, quindi era la mia forma di missionarietà, di testimonianza cristiana. Così mi mettevo il cuore in pace e nascondevo un po’ di vanagloria. Già nella raccolta di racconti prevale il dubbio, la domanda, la fatica di un Dio che non si fa sentire, ma resta la fede il motore, la ragione nobile che mi permette di scrivere. Con ‘Luzine’ le cose cambiano. L’esperienza giornalistica, l’incontro con il mondo della politica mi hanno fatto conoscere la città, la società, problemi non ecclesiali ma più universali. E’ cresciuta la mia sensibilità verso le vicende dei popoli, prima incanalata soprattutto nell’attenzione missionaria verso l’Africa. E così non passò inosservato in me il dramma del popolo albanese, che raggiunse le coste italiane agli inizi degli anni Novanta. Mi sembrò fosse anche un mio dovere parlarne, scriverne, e scelsi la forma narrativa, dopo aver intervistato per il settimanale ‘Luce’ una famiglia di profughi albanesi arrivati qui a Morosolo. Lì incontrai per la prima volta il nome femminile Luzìne, che mi colpì. E cominciai a pensare ad un romanzo che partendo dall’Albania arrivasse in Italia, per concludersi di nuovo oltre il Mediterraneo. Un romanzo ambizioso, che cercava di indagare le ragioni di quella fuga. Lessi parecchio, soprattutto i romanzi di Ismail Kadarè, massimo narratore albanese. E nel 1993 iniziai la scrittura.     


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Marco e Cecilia



Domenica 28 febbraio, ore 20.30, La Vecchia Varese (via Ravasi 37), 'Gli amici di Mock' (Cecilia & Friends) in concerto, nell'ambito dell'Ewe Mama Tour. 

Sonata



La vita, soprattutto intorno ai sessanta, è una Sonata in Mal Minore, opera Incompiuta

La mia scrittura - 38



Il 1995 iniziò bene per la mia scrittura: il 26 gennaio vinsi il concorso Poeta Bosino, organizzato dalla Famiglia Bosina. Avevo partecipato con una poesia dialettale, ‘Rusari d’un vecc’. Fu una grande emozione, un inatteso successo, inatteso ma sperato. Il mio desiderio di scrivere poesie nel dialetto varesino era nato nel 1993, nato dal mio bisogno di esprimermi in ogni forma letteraria possibile, e nato ripensando soprattutto a mia mamma Ines, con la quale dialogavo continuamente. Era un modo di sentirmela vicino; i miei genitori, fra di loro, parlavano in dialetto, e grazie ai loro dialoghi avevo imparato questa lingua, che non utilizzavo mai ma che era rimasta dentro di me, come dono, ricchezza, la lingua del passato, dei ricordi, della memoria. Nel 1993 avevo scritto un paio di poesie e avevo partecipato al concorso Poeta Bosino, organizzato ormai da alcuni decenni. Non venni scelto fra i primi tre, cioè fra i premiati. Ma –come è mio costume- non mi scoraggiai, diedi ancora voce a questo mio desiderio e il 23 gennaio ricevetti la telefonata del regiù della Bosina, Augusto Caravati. Mi invitava per la serata del 26 gennaio, festa du ra Giobia, momento che tradizionalmente ospita la premiazioni dei poeti finalisti. Ero nei tre, ma in quale posizione? Vinsi, ricevetti la statuetta d’argento del Pin Girometta, i complimenti dei presenti e soprattutto di Clemente Maggiora, grande esperto di dialetto; mi regalò un volume di Speri Della Chiesa Jemoli, con la dedica: ‘Al giovane poeta bosino Carlo Zanzi, a nome mio personale e degli Amici di Speri, i più vivi complimenti e l’incitamento a continuare sulla strada della tradizione bosina’.
Devo dire che l’augurio di Clemente mi ha portato bene: da allora ho sempre partecipato al concorso, qualche volta sono arrivato finalista, ho sempre mantenuto l’abitudine di scrivere poesie in dialetto e mi sono sempre più avvicinato alla mia città, ‘letta’ nel passato, nel presente e nel futuro.     


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mercoledì 24 febbraio 2016

martedì 23 febbraio 2016

La mia scrittura - 37



Mi permetto a questo punto di aprire una parentesi, per descrivere l’evoluzione della mia scrittura, non come stile, ma come strumenti. E devo dire un grazie enorme al giornalismo se ho imparato a scrivere direttamente sulla macchina da scrivere, e poi sul pc. Inizialmente scrivevo sempre prima a mano, poi battevo a macchina. I tempi del giornalismo mi hanno ‘obbligato’  a scrivere direttamente a macchina, e non è stato facile. La distanza fra il pensiero e la scrittura a mano è più breve, la macchina da scrivere aumenta lo spazio, mette una barriera, bisogna farci l’abitudine. Prima ho imparato con i pezzi giornalistici, poi sono passato a scrivere direttamente a macchina anche i testi di narrativa. Ci sono scrittori che non superano mai questa fase. Non che sia necessaria, ma velocizza molto i tempi. Ad esempio Andrea Vitali scrive ancora prima a mano, con la matita (nemmeno con la biro), e poi batte sul pc. Decisivo è stato poi l’avvento del notebook, che ho senz’altro usato già a partire dal libro su Maroni, agli inizi del 1994. Avevo un meraviglioso notebook Highscreen, simile a quello in foto. Il mio non funzionava più e qualche anno fa l’ho eliminato. Per uno scrittore il computer è una vera pacchia, e lo è ancora di più per chi ama anche la fotografia, come me. Un’altra vita.     


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La mia scrittura - 36




Per quindici anni, dal 1984 al 1999, ho mantenuto un dialogo costante, scritto, con mamma Ines, riportato in tre libretti, stampati in poche copie, solo per i miei familiari. Nel primo, che ho intitolato ‘Da quel balcone’, dialoghi 1984-1999 ho voluto pubblicare la foto del nostro balcone in via Ugo Foscolo (il balcone più piccolo, in alto), la nostra abitazione dal 1956 al 1961.  
Come introduzione al primo libretto, il 7 dicembre 1990, scrivevo queste note, che credo riassumano bene il senso di questa mia scrittura privata:
“Ho scritto e scrivo questo dialogo con mamma Ines perché il legame non si sfilacci, mortificato dalla dimenticanza e dagli ‘affari’, che elidono ricordi ed emozioni. Pochi pensieri, sovente ripetuti, con temi ricorrenti e, più sollecito di altri, l’incontro con la morte, obbligato e misterioso, drammatico e volto alla speranza. Non potrebbe essere altrimenti perché mamma Ines è morta, sei anni or sono. Apro queste pagine  a mio padre, ai miei fratelli, ai parenti più intimi, sperando che possano contribuire a riabbracciarla. Condividiamo una comune lacerazione e la medesima attesa di quell’Incontro.”     


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A.A.Alice Offresi



ALICE NELLA CITTA' è una realtà no profit che si sorregge interamente sul volontariato dei propri associati e sulla mole di appuntamenti che riesce a produrre. Nel corso degli anni ha dovuto cercare forme diverse di finanziamento per poter portare avanti la propria attività mantenendo prezzi accessibili per il pubblico. A questo proposito, siamo in cerca di gruppi, compagnie, collettivi artistici, associazioni, professionisti, hobbisti o altro che abbiano necessità di utilizzare uno spazio attrezzato per la loro attività di produzione o ricreazione. Alice negli anni è riuscita a costruire un ambiente ampio e attrezzato che potrebbe fare comodo a molte realtà, a fronte di un contributo associativo decisamente popolare. Se siete interessati, scrivete per maggiori dettagli a
collaboraconalice@gmail.com
specificando nell'oggetto "alice offresi"
Libertà è partecipazione!

Pedata nel sedere



Sono diventato nonno a 57 anni. Un nonno relativamente giovane, la maggior parte dei miei amici coetanei nonno non è ancora. Lo considero un privilegio, una responsabilità, una gioia, a volte una fatica, senz'altro una grande pedata nel sedere a quel sottofondo malinconico che intona, per solito, le mie giornate. 

La mia scrittura - 35


Nel 1994 pubblicai la storia delle Crocerossine di Varese. Fu il mio primo libro con l’editore Pietro Macchione, che diventerà il mio editore di riferimento, con il quale ho pubblicato la maggior parte dei miei libri. Avevo conosciuto Macchione in Consiglio Comunale a Varese, agli inizi del 1993. Era consigliere comunale, un uomo di sinistra abile nella mediazione, prof. di lettere e grande amante della storia locale, pur essendo di origini meridionali. Aveva pubblicato molti libri sulla nostra Varese, e proprio in quel periodo fondò la casa editrice, che porta ancora oggi il suo nome. Ricordo ancora l’uscita dei suoi primi due volumi, con una bella conferenza stampa al Caffè Zamberletti e ricco aperitivo. Agli inizi del 1994 ci incontrammo in piscina e lui mi propose di collaborare con lui, scrivendo la storia delle infermiere volontarie  della CRI, a Varese. Accettai, perché allora non rifiutavo nulla, pur di scrivere e di pubblicare. Già impegnato in vari progetti, accettai anche quella nuova avventura, fatta di interviste, di letture di diari, di resoconti storici. E il libro uscì nel mese di dicembre, con presentazione in grande stile, alla Palazzina della Cultura. Ricordo che me la presi, perché nel biglietto d’invito non avevano scritto il mio nome, come autore del libro. Un puntiglio che oggi giudico ridicolo, una vanità da principiante, ma tale ero ed è giusto annotarlo, a futura memoria. Ero molto preso nel mio ruolo, sicuro di me stesso e convinto di saper scrivere bene. Oggi penso che avrei fatto meglio a seguire le indicazioni del mio amico Gino Montesanto, a privilegiare la narrativa, rischiando in una sola direzione, ma tant’è, così è andata.           
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La mia scrittura - 34


Nel biennio 1993-1994 ho pubblicato altri due libri, su commissione. Nel 1993 a Gornate Olona insegnava mio fratello Marco, che era amico del prof di religione, nonché parroco a Gornate, il simpatico don Ruggero Selva. Un giorno il curato, parlando con mio fratello, gli fece capire che aveva in animo di scrivere una breve storia della parrocchia di Gornate Olona, Marco fece il mio nome, il don mi contattò ed io accettai. Ebbi così modo di conoscere quella zona di Varese, la storia ecclesiale soprattutto del Novecento, le testimonianza architettoniche e di fede popolare. Curai la pubblicazione dal principio alla fine, comprese molte foto e la copertina (che copiai spudoratamente da quella di Paolo Zanzi, utilizzata per il libro su Velate). Coinvolsi anche il disegnatore Giancarlo Bertonotti, di Sant’Ambrogio, che collaborava con me a Sul Sagrato e che qui voglio ricordare con affetto. Un personaggio simpatico e disponibile, un finto burbero che aveva una gran mano, un tratto inconfondibile, grazie al quale ha ritratto angoli del mio rione e della nostra bella città. E sempre nel libro su Gornate parlo anche del mio amico scultore Antonio Quattrini, che proprio in quel periodo stava realizzando uno dei suoi primi lavori in quella parrocchia, sempre su commissione del dinamico don Ruggero. Se ben ricordo, non ci fu una presentazione ufficiale del volumetto, che mi lasciò un po’ insoddisfatto soprattutto per il lavoro tipografico. Mi avevano consigliato un tipografo che non si dimostrò all’altezza.


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Auguri, Stefano

                                                                                     ph emmezeta


Felice compleanno al mio amico Stefano, neopapà!

domenica 21 febbraio 2016

Ma chi è 'sto genio?


Un tempo i sacchetti per la raccolta dell'umido li portavano direttamente a casa (parlo del Comune di Varese). Oggi dobbiamo andarli a prendere noi. E sia, un piccolo sforzo una volta l'anno si può fare. Ma qual è la sorpresa? I nuovi sacchetti per l'umido sono la brutta copia dei loro antenati: più piccoli, molto più sottili, facili alla rottura ma, quel che è peggio, inadatti al recipiente marrone che li deve contenere. E l'umido fuoriesce.  

La mia scrittura - 33

                                                                                                ph giorgio lotti



Il mio amico giornalista Pierfausto Vedani, che pure mi aveva invogliato a scrivere il libro su Maroni (gli avevo chiesto un parere) lo definì anni dopo un mio peccato di gioventù. A tanti anni di distanza non sono affatto pentito di aver scritto quel libro, ma sono dispiaciuto perché avrebbe potuto ottenere un maggior riscontro di vendite, un maggior successo editoriale se il neoministro avesse fatto un minimo per promuoverlo. Del resto bisogna capire anche la situazione: Maroni, primo ministro degli Interni del dopoguerra non Dc, si trovò con un mare di lavoro. Anche per lui era tutto nuovo, era un impegno gravoso e rischioso. Non poteva certo avere il tempo di promuovere un libro su di lui. Inoltre non è tipo che ama farsi pubblicità, e poi vi è da dire che già si stava creando un certo attrito fra lui e Umberto Bossi, che cominciava  a vederlo come un rivale, capace di rubargli la scena. E il Bossi del 1994 era una ‘belva’, andava a mille e la sua Lega era determinante per gli equilibri politici. Nemmeno la Lega di Varese fece nulla per promuovere quel libro. Anche perché non tutti i leghisti varesini stavano con Maroni, giudicato da qualcuno un figlio di papà, il laureato che, ottenendo una eccessiva fiducia da parte del capo, stava bruciando le tappe e raccogliendo più di quanto avesse seminato. In particolare era inviso a Beppe Leoni, militante della prima ora, braccio destro di Bossi, molto amato dai duri e puri varesini. Tutto ciò fece sì che il libro passasse quasi inosservato. In verità uscì un bel pezzo su Sette del Corriere della Sera (venne ad intervistarmi Antonio D’Orrico), apparvero altre recensioni ma nemmeno una presentazione, una apparizione in qualche studio televisivo. Bastava che Maroni (che pure andava regolarmente a Porta a Porta, al Maurizio Costanzo Show…) portasse con sé una copia del libro, ma non lo fece mai. Né io insistetti. Ma avevo visto giusto. Maroni era (ed è ancora oggi) un personaggio politico di primo piano, il varesino che più di tutti è stato ministro (due volte degli Interni e uno del Lavoro) e ora governatore della Lombardia. Qualcuno lo definisce l’Andreotti leghista, sempre a galla nonostante le bufere che hanno (anche al presente) strapazzato il suo partito. A me (da non leghista) interessava descrivere un personaggio e un clima politico in evoluzione, l’Italia del dopo tangentopoli, un partito nato dalle idee di un istrionico personaggio del mio territorio, che era diventato determinante, ago della bilancia della politica nazionale. E credo di esserci riuscito. Sempre l’amico Vedani mi fece capire che se avessi avuto intenzione di cambiare mestiere, di fare il giornalista di professione, quello sarebbe stato il momento. Non  nascondo che se mi fossi proposto, che se avessi manifestato simpatie leghiste, conoscendo gli uomini giusti avrei magari trovato spazio alla Padania, e poi chissà….ma amavo troppo il mio lavoro di prof, la mia famiglia, le mie figlie. Una scelta di quel tipo significava un rischio a tempo pieno, una diversa concezione della vita e del lavoro. E poi –diciamolo- grosse simpatie per la Lega non ne avevo. Così non se ne fece nulla, e quel libro resta a testimoniare una fase comunque entusiasmante della mia vita.  

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L'incredibile James



Chi mi conosce sa che sono molto critico sullo sport professionistico, sullo sport estremo, sullo sport dannoso. Non tutto lo sport è per la salute, anzi, diciamo che perché lo sport faccia bene deve rispettare regole precise, di solito trascurate dai praticanti, dagli amatori. Parlo qui di James Lawrence perché la sua storia è incredibile, cioè non avrei mai pensato che un corpo umano potesse resistere a tanto. Ciò che ha fatto James è senz'altro dannoso per la sua salute, credo che ne pagherà le conseguenze più avanti, se già non le paga adesso, ma la sua impresa è pazzesca. Ognuno sceglie come farsi del male, e lui ha scelto questa via. Io ho corso una maratona, so cosa vuol dire correre per 42 km di fila. Ci ho messo una settimana per riprendermi. So cosa vuol dire fare una gara di triathlon, non un ironman ma un triathlon olimpico, cioè 1,5 km di nuoto + 40 km di bici + 10 km di corsa. Ci ho messo non dico una settimana, ma due o tre giorni per riprendermi. Ebbene, James nel 2012 ha portato a termine 30 Ironman in un anno! Un Ironman vuol dire 3,8 km di nuoto + 180 km in bici + 42 km di corsa! E lui, in un anno, ci è riuscito 30 volte! Non contento di essersi già fatto del male abbastanza, ha deciso di fare 50 ironman in 50 giorni di fila in 50 Stati diversi degli Usa. E ci è riuscito. Non lo credevo umanamente possibile. E' chiaro che ha un fisico fuori dal comune, ma anche ciò contemplando, resta per me incomprensibile. Non è certamente questo lo sport che amo, ma James è davvero (come lo chiamano) l'Ironcowboy! 

La mia scrittura - 32



A febbraio parlai con Maroni del libro, durante una pausa del Consiglio Comunale. Come suo solito fece un sorrisino ma parve contento. Cominciò per me la caccia a Bobo Maroni, perché da quel momento in avanti entrò nel vortice della campagna elettorale e fu un vero problema incontrarlo. Una lunga intervista, la più lunga, riuscii a ritagliarla dopo la mezzanotte, al Blubeg’s Cafè di viale Europa. Un vero sacrificio per me, abituato ad andare  a letto alle 21 e ad alzarmi alle 4 del mattino. Dopo un incontro con gli elettori alla Schiranna, seguii la Passat di Maroni e ci trovammo al bar, sino alle 2-3 di notte. Un’altra intervista la feci a casa sua, quando recuperai anche le foto che mi servivano. Poi mozziconi di interviste, e soprattutto interviste ai suoi amici e ai suoi nemici, a giornalisti e parenti, a politici e non, lettura di giornali... Poi la lunga notte d’aprile in via Bellerio, a Milano, sede della Lega Nord, in attesa dell’esito del voto, con le prime immagini del tripudio leghista, Bossi esaltato, Maroni estasiato dal responso delle urne (53.640 preferenze). Il libro si chiude con l’incontro da Maroni, nel suo salotto, la sera del 10 maggio 1994. La tele ha appena comunicato alla nazione la lista dei nuovi ministri, con premier Silvio Berlusconi. Maroni è viceprimoministro e ministro degli Interni. Vado, la sua casa è già circondata dalle forze dell’ordine, ultime battute, il libro è già pronto, avevo lasciato aperto solo l’ultimo capitolo. Chiudo anche quello e dieci giorni dopo il libro è nelle librerie di tutta Italia, distribuito da Longanesi. Tre mesi per scrivere duecento pagine, un record per me. E anche –diciamolo- una soddisfazione, perché pur essendo una biografia autorizzata, Maroni non ha fatto alcuna modifica al testo (a parte due rettifiche risibili) e non è un libro leghista. In cinque anni di carriera giornalistica avevo perfezionato uno stile, avevo appreso con sufficienza un mestiere, conosciuto un mondo a me ignoto e un sacco di gente.

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sabato 20 febbraio 2016

Eco, grande intellettuale


E' morto Umberto Eco, grande intellettuale, troppo grande e troppo intellettuale per me. Ho certamente invidiato la sua memoria, la sua cultura e il suo successo di scrittore. Ma non ho letto nulla di lui, sino in fondo. 'Il nome della rosa': avendo visto prima il film (bello) sapevo già come andava a finire e non ho finito il libro (ben scritto). Ho voluto rimediare (nel periodo in cui leggevo parecchio) acquistando 'Il pendolo di Foucault'. Dopo una ventina di pagine sono tornato dal libraio, chiedendo gentilmente se poteva cambiarmelo: "Giuro, non l'ho sciupato!" dissi. Me lo cambiò, e forse aggiunse che non ero il primo caso. 
Comunque un grande.  

venerdì 19 febbraio 2016

La formazione



Completo il post precedente, con la formazione della Cassiopea, stagione 1962-63.
In piedi, da sin: Bonina, Chiesa, Castagna, Frigerio, Antonini, Borrello, Lobbia, Frattini, Masini, coach Giorgio Bianchi.
Accosciati, da sin: Zonda, Binda, Mascotto, Gandolla, Figini, Cunati, Bernasconi, Mazzucchi, Passera.

Eccolo, il portierino


Eccolo il portierino. Fine anni Sessanta, campetto di Velate. In piedi da sin: Zanzi G., Frattini, non ricordo. Accosciati, da sin: Guarnieri, Zetta, Calaciura, Canedoli, Zanzi C.

Il portierino



Ringrazio l'amico Antonio Bonina (il portiere nella foto), per questa bella immagine. Oratorio 'Molina' di Biumo Inferiore, metà anni Sessanta. Bonina è stato fra i miei portieri preferiti, insieme a Giuliano Sarti dell'Inter, a Lonardi e Da Pozzo del Varese. Cercavo di imitarlo, quando decisi che avrei fatto il portiere. Perché scelsi questo ruolo niente affatto amato dai ragazzi? Non so, forse per via del mio carattere, tendente al sacrificio: poiché nelle nostre partite in quartiere nessuno voleva stare in porta, alla fine dicevo: 'Vabbè, ci sto io!' Poi, visto che paravo discretamente, mi sono appassionato al ruolo. Mi chiamavano il portierino. Oggi, 50 anni dopo, credo molto meno nel sacrificio. In vista del grande sacrificio, sono invogliato a preferire i piccoli-grandi piaceri della vita.