E
come secondogenita dei miei nonni paterni Luigi e Prima, ecco un’altra femmina,
Maria, nata nel 1915. Donna molto religiosa, attiva in parrocchia, dalla grande
vitalità e simpatia, sposò subito dopo la guerra Carlo Tamborini detto Carletto,
un uomo che era l’esatto opposto di Maria: quieto, posato, silenzioso. Maria
dovette aspettare Carletto, di ritorno dalla prigionia in Egitto: arrivò due
anni dopo la fine della guerra. Nacquero i miei due cugini Lorenzo detto Renzo,
e Pierluigi detto Pier. In foto vediamo il matrimonio di Maria e Carletto, e
mia zia Maria con un figlio, non so chi dei due. Mio zio Carletto lavorava alla
Carrozzeria Macchi, come falegname. Devo riconoscere che la zia Maria è stata
la mia zia preferita, forse perché ha valorizzato le mie presunte doti di
scrittore. Ricordo che non approvò affatto la mia scelta di fare ‘solo’ il prof
di ginnastica: mi avrebbe visto bene giornalista come il figlio Pierluigi,
giornalista per tutta la sua carriera al Gazzettino di Venezia, redazione di
Treviso. Probabilmente era anche la sorella preferita da mio padre, e stava
simpatica anche a mamma Ines. Andavamo spesso a trovarli, prima in bici, tutta
la famiglia, poi in auto, nella loro casetta in località Officina, via
Campestre. Si entrava, subito una stretta cucina, dove spesso Carletto era
intento a lavare i piatti. O altrimenti mio zio se ne stava semisdraiato sul
divano, entrando in sala a sinistra, con
la sua amata Prealpina davanti agli occhi. E anche la Gazzetta, se non erro.
Nel pomeriggio saliva regolarmente ‘la corta’, per andare a giocare a carte al
Circolo L’Avvenire. Mia zia non sempre approvava la sua indole poco ciarliera. ‘A
l’è propri ‘n Tambùr!’ si lamentava, facendo riferimento ai Tamborini del ramo
dello zio, silenziosi per natura. E lei scalpitava. Ricordo il locale, dove lo
zio eseguiva i suoi piccoli lavori di falegnameria: silenzioso ma gran
lavoratore. E come non ricordare l’orto, gli alberi di ciliegie e di amarene, e
il bersò, dove avanti negli anni i miei due zii stavano spesso all’ombra, a riposare,
nelle calde giornate estive. Mantenni l’abitudine di andare a trovarli anche da
solo, e anche dopo il mio matrimonio. Non so, mi trovavo bene: Lorenzo (poco
ciarliero come il padre) che mi parlava della sua grande passione per la pesca,
che per pochi anni fu anche la mia; Pier che cercava disperatamente di imparare
l’attacco del Testamento di Tito di Fabrizio De Andrè (era irrimediabilmente
stonato), che leggeva soprattutto letteratura Usa e che scriveva assai bene; lo
zio che, sornione, non dava troppo peso alle punzecchiature della moglie, e mia
zia Maria che raccontava di tutto, un po’ in italiano un po’ in dialetto. Amava
scrivere, anche poesie. Morti entrambi avanti negli anni, restano un caro
ricordo della mia infanzia e della mia giovinezza, almeno sino al 1990.
11-continua
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