ph carlozanzi
Preghiera
bruciata
di carlozanzi
Ho riposto l’auto in garage. La
porta metallica si è chiusa, sbrodolando sull’asfalto del mio cortile un rumore
di ferro e un cigolio di ruggine. E’ inverno ma la notte è mite. E’ buio ma non
ho voglia di risalire in casa. Mi fermo davanti alla porta che apre la via agli
appartamenti. Alzo gli occhi alla volta stellata. E’ sereno, nessuna nuvola a
coprire le stelle, che traforano la notte con la loro punta colore dell’oro. I
rami spogli dei platani s’allungano verso il niente che è il buio e si perdono
nella notte. Poche auto parcheggiate sulla via, tre lampioni mandano una tenue
luce color arancio, nessuno per strada, un aereo nel cielo, piccole luci
intermittenti giallorosse che scivolano verso le stelle. Rumori di vetture in
lontananza, un cane abbaia, altri gli fanno eco. La notte nella mia via
periferica brulica di rumori lontani e di pensieri vicini: i miei.
Guardo le stelle da qualche
minuto, il collo in tensione fa male, è tempo di tornare con gli occhi alla
terra; resisto perché ho bisogno del cielo stellato di questa notte tiepida. Ho
bisogno che il cielo mi parli. Non mi basta la voce intossicata del mondo qui
in basso. Una fettina di luna galleggia con la gobba non a ponente non a
levante: guarda verso di me, guarda verso le nostre tristezze che si
comunicano. La chiamano luna che ride.
La nera vastità mi parla di Dio.
Un Dio necessario. Lo immagino lassù, grande come il cielo, lo sento, lo vedo
nel manto che mi protegge senza soffocarmi.
Ma stanotte la protezione non
basta. Vorrei parole chiare, vorrei che sollevasse quel suo mantello colore
petrolio e apparisse nel cielo la luce, un sole coi raggi capaci di scrivere
parole convincenti. Perché la mancanza che provo deve essere spiegata. Perché
il soffrire che sento non è adatto a chi si considera pronto per la felicità.
Perché il dolore lavato dal pianto non può reggere a lungo, non sono adatto
all’incomprensione di un mistero di privazione. Ma la notte incombe e Dio non
risponde. Eppure lo sento, lo immagino e il desiderio di Lui alimenta la
speranza che la notte darà un senso al mattino che già si prepara, verso
oriente.
‘Dio del cielo stellato e delle
mie paure, spalanca il tuo manto e parla al mio cuore’ urlo in silenzio alla
luna. E piango, poche lacrime che sostano al limitare degli occhi, per pudore
non scivolano verso la bocca, sostano in attesa di una risposta.
Ma la risposta tarda a venire.
Arrivano invece lungo la via fari abbaglianti e il fastidio di un rumore che
frigge e tossicchia. Luce violenta che incendia e brucia la mia preghiera della
sera. Rumore che impedisce di ascoltare.
E Dio, forse, proprio in quel
momento ha parlato.
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