Nel 1947, dopo aver schivato a 18
anni di partire per la Germania come lavoratore nell’ultimo anno della Seconda
Guerra Mondiale (come già descritto), mio padre partì per il militare, come
fante. Destinazione dei tre mesi di CAR: Orvieto. Vedendo il suo curriculum, i
graduati decisero di metterlo subito a fare il cameriere alla mensa ufficiali.
Mio padre, che aveva 21 anni, era partito per la naja con uno spirito d’avventura,
sognava il movimento, lo sport, l’azione. E invece si ritrovava a fare più o
meno il lavoro che già praticava da nove anni. Si ribellò, chiese di andare
persino in Sardegna, in qualche reparto punitivo, pur di non stare con la giacca
bianca a servire gli ufficiali. Vista la sua resistenza, gli dissero: ‘Va bene,
te ne stai lì col piantone a non far nulla.’ E mio padre, pur di non dargliela vinta,
passò molto tempo inattivo. Dopo tre mesi di CAR venne destinato alla Scuola di
fanteria di Cesano di Roma. E lì si ripropose lo stesso copione: doveva fare il
cameriere alla mesa ufficiali, dove fra l’altro giravano anche molti generali,
e non solo italiani. Si ribellò di nuovo, ma anche lì attesero che mettesse la
testa a posto. La sua muta protesta durò circa un mese. Ad un certo punto,
sentendo i profumini che fuoriuscivano dalle cucine della mensa ufficiali,
stanco del solito rancio insipido, mio padre cedette e indossò la giacca bianca
del cameriere.
Per quello scaglione erano previsti
solo 11 mesi di naja, uno in meno della norma di quel tempo, perché lo
scaglione precedente era stato costretto, causa votazioni, a fare un mese in
più. Ma mio padre pensò bene di allungare la naja di un altro mesetto, meritandosi
due punizioni da 15 giorni cadauna. Per la prima andò così. Un cuoco che
lavorava in mesa (era borghese, non militare) pretese da mio padre una
prestazione in cucina che non gli spettava. Il Mario non era tenuto ad obbedire
a lui e non obbedì. Quel cuoco, inviso alla truppa per il suo caratteraccio,
minacciò mio padre con un coltello. Mio padre reagì mollandogli un pugno in
faccia, dopodiché scappò in cortile. Lo vide il capitano, attendente del
Generale, che chiese lumi su quel suo comportamento anomalo. Il Mario fece il
sornione, e il capitano si diresse in cucina, aprì la porta e a quel punto il
cuoco, sanguinante e vendicativo, immaginando fosse il rientro di mio padre,
fece partire una zoccolata che fece cadete il cappello del graduato e provocò
danni alle piastrelle. Il capitano, ascoltate le parti, pur riconoscendo una
parziale attenuante al Mario, fu costretto a punirlo con 15 giorni di punizione
di rigore: niente soldi e sigarette. Divenne un piccolo eroe fra i commilitoni,
che mal digerivano quel cuoco. Gli altri 15 giorni mio padre se li meritò una
domenica. Il cappellano militare lo invitò a Roma, a vedere la partita
Lazio-Juventus. Era, molto probabilmente, il 19 settembre del 1948, quando la
Juve, allo Stadio Nazionale, strapazzò la Lazio, vincendo 4 a 0. Mio padre fece
notare che era in servizio e non poteva allontanarsi, ma il prete, tenente degli
Alpini, lo indusse in tentazione, rassicurandolo. E così rischiò. Rientrò ad
ora tarda, con un camion militare. Andò in branda, certo di averla fatta
franca. La mattina dopo venne chiamato a rapporto, il comandante gli chiese
dove fosse ad una tal ora. Con un po’ di furbizia avrebbe potuto trovare una
scusa, ma poiché sapeva che il graduato aveva fiducia in lui, non voleva
perderla con una balla, così disse la verità. Quindi, ancora una volta, furono ‘costretti’
a punirlo con altri 15 giorni. Probabilmente mio padre concluse il militare a
ottobre-novembre del 1948. Lo attendeva il solito lavoro, ma un cambio di
indirizzo.
Vediamo una foto del gruppo del CAR
ad Orvieto, poi durante il servizio mensa, con un certo Martorana, che lavorava
in cucina, e il giorno del congedo, ormai in borghese.
33-continua
Nessun commento:
Posta un commento