mercoledì 22 marzo 2017

Ines & Mario story - 33







Nel 1947, dopo aver schivato a 18 anni di partire per la Germania come lavoratore nell’ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale (come già descritto), mio padre partì per il militare, come fante. Destinazione dei tre mesi di CAR: Orvieto. Vedendo il suo curriculum, i graduati decisero di metterlo subito a fare il cameriere alla mensa ufficiali. Mio padre, che aveva 21 anni, era partito per la naja con uno spirito d’avventura, sognava il movimento, lo sport, l’azione. E invece si ritrovava a fare più o meno il lavoro che già praticava da nove anni. Si ribellò, chiese di andare persino in Sardegna, in qualche reparto punitivo, pur di non stare con la giacca bianca a servire gli ufficiali. Vista la sua resistenza, gli dissero: ‘Va bene, te ne stai lì col piantone a non far nulla.’ E mio padre, pur di non dargliela vinta, passò molto tempo inattivo. Dopo tre mesi di CAR venne destinato alla Scuola di fanteria di Cesano di Roma. E lì si ripropose lo stesso copione: doveva fare il cameriere alla mesa ufficiali, dove fra l’altro giravano anche molti generali, e non solo italiani. Si ribellò di nuovo, ma anche lì attesero che mettesse la testa a posto. La sua muta protesta durò circa un mese. Ad un certo punto, sentendo i profumini che fuoriuscivano dalle cucine della mensa ufficiali, stanco del solito rancio insipido, mio padre cedette e indossò la giacca bianca del cameriere.
Per quello scaglione erano previsti solo 11 mesi di naja, uno in meno della norma di quel tempo, perché lo scaglione precedente era stato costretto, causa votazioni, a fare un mese in più. Ma mio padre pensò bene di allungare la naja di un altro mesetto, meritandosi due punizioni da 15 giorni cadauna. Per la prima andò così. Un cuoco che lavorava in mesa (era borghese, non militare) pretese da mio padre una prestazione in cucina che non gli spettava. Il Mario non era tenuto ad obbedire a lui e non obbedì. Quel cuoco, inviso alla truppa per il suo caratteraccio, minacciò mio padre con un coltello. Mio padre reagì mollandogli un pugno in faccia, dopodiché scappò in cortile. Lo vide il capitano, attendente del Generale, che chiese lumi su quel suo comportamento anomalo. Il Mario fece il sornione, e il capitano si diresse in cucina, aprì la porta e a quel punto il cuoco, sanguinante e vendicativo, immaginando fosse il rientro di mio padre, fece partire una zoccolata che fece cadete il cappello del graduato e provocò danni alle piastrelle. Il capitano, ascoltate le parti, pur riconoscendo una parziale attenuante al Mario, fu costretto a punirlo con 15 giorni di punizione di rigore: niente soldi e sigarette. Divenne un piccolo eroe fra i commilitoni, che mal digerivano quel cuoco. Gli altri 15 giorni mio padre se li meritò una domenica. Il cappellano militare lo invitò a Roma, a vedere la partita Lazio-Juventus. Era, molto probabilmente, il 19 settembre del 1948, quando la Juve, allo Stadio Nazionale, strapazzò la Lazio, vincendo 4 a 0. Mio padre fece notare che era in servizio e non poteva allontanarsi, ma il prete, tenente degli Alpini, lo indusse in tentazione, rassicurandolo. E così rischiò. Rientrò ad ora tarda, con un camion militare. Andò in branda, certo di averla fatta franca. La mattina dopo venne chiamato a rapporto, il comandante gli chiese dove fosse ad una tal ora. Con un po’ di furbizia avrebbe potuto trovare una scusa, ma poiché sapeva che il graduato aveva fiducia in lui, non voleva perderla con una balla, così disse la verità. Quindi, ancora una volta, furono ‘costretti’ a punirlo con altri 15 giorni. Probabilmente mio padre concluse il militare a ottobre-novembre del 1948. Lo attendeva il solito lavoro, ma un cambio di indirizzo.  
Vediamo una foto del gruppo del CAR ad Orvieto, poi durante il servizio mensa, con un certo Martorana, che lavorava in cucina, e il giorno del congedo, ormai in borghese.


33-continua

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